Adriano Stefani Psicologo

Psicoterapia e Meditazione

L’incontro tra le due pratiche – un tempo impensabile – sta producendo scambi fecondi.

Psicoterapia e Meditazione
Il rapporto tra meditazione e psicoterapia è un tema molto delicato di cui si fa fatica a parlare perché tradizionalmente sono esistite due fazioni contrapposte – i sostenitori della psicoterapia da una parte e i praticanti di meditazione dall’altra – che si sono spesso ignorate e talvolta apertamente criticate.

Questa divisione riflette da una parte l’antico distacco della psicoanalisi dalla religione, introdotto dallo stesso Freud che era un ateo dichiarato, e dall'altra il sospetto con cui il mondo della spiritualità ha da sempre accolto la psicologia.
 
I sostenitori della psicoterapia hanno spesso guardato la meditazione dall’alto in basso, considerandola una pratica non-scientifica, non-ortodossa, insomma una disciplina inferiore che non dovrebbe essere confusa con la psicoterapia che, in quanto disciplina sanitaria, dovrebbe avvalersi solo di strumenti di cura efficaci e convalidati. Inoltre i sostenitori della psicoterapia hanno spesso considerato la meditazione una sorta di “fuga” dai problemi esistenziali, ossia un modo per non prendersi cura dei propri contenuti mentali dolorosi rifugiandosi in uno stato di “silenzio”, che in realtà sarebbe solo una evasione illusoria dalle proprie difficoltà.
 
I meditanti, da parte loro, hanno spesso considerato la psicoterapia come un intervento troppo cervellotico che, invece di condurre alla pace interiore, stimolerebbe l’attività mentale e che quindi aumenterebbe il disagio anziché diminuirlo.
 
In realtà, a dispetto di questa storica contrapposizione, negli ultimi anni tra le due discipline stanno nascendo relazioni sempre più fruttuose.
 
 
Che cosa è la meditazione?
Quando da noi, in Occidente, utilizziamo il termine “meditare” possiamo indicare due fenomeni molto diversi fra loro. Da una parte possiamo intendere quel processo attivo di riflessione, in cui utilizziamo intenzionalmente il pensiero e la nostra capacità di ragionare per concentrarci su di un argomento, un’idea o un oggetto esterno. In questo senso meditare è sinonimo del verbo riflettere.
 
D’altra parte negli ultimi cento anni alcuni maestri spirituali orientali hanno introdotto in Occidente – e molti Occidentali sono andati a ricercare in Oriente – una pratica, chiamata “meditazione” che consiste nel cercare di essere consapevoli senza tentare di dirigere volontariamente l’attenzione su questo o quell’argomento, idea o oggetto. In questo secondo senso meditare è più vicino al verbo contemplare.
 
In questo articolo prenderò in considerazione i rapporti tra psicoterapia e meditazione, nel suo significato di “contemplazione”.
 

Forme diverse di meditazione
Esistono molti tipi di pratiche meditative. Si può meditare stando fermi, seduti, sdraiati. In movimento, con gesti lenti, cadenzati o forsennati, o correndo. Si può meditare in silenzio, ripetendo ciclicamente parole o frasi predeterminate, e perfino danzando o cantando. Insomma tutto sembra poter essere “meditazione”.
 
Che cosa accomuna le tante pratiche differenti di meditazione?
 
Il minimo comune denominatore, ossia ciò che caratterizza le pratiche meditative, è l’atteggiamento interiore di presenza mentale e di attenzione a ciò che succede nel qui-e-ora.
 
In una parola: consapevolezza.
 
 
Stato di coscienza meditativo
Un conto è la pratica meditativa e un conto è lo stato di coscienza meditativo.
 
Lo stato di coscienza meditativo consiste nell’essere presenti a sé. Più questo stato di presenza è intenso e più si parla di “profondità” dello stato di coscienza meditativo.
 
La pratica meditativa è tutto ciò che si fa (stare seduti, recitare un mantra, visualizzare intenzionalmente qualcosa, etc.) per facilitare lo stato di coscienza meditativo. Così, ogni pratica che permetta e faciliti una condizione di presenza, può essere chiamata a buon diritto meditazione.
 
Ci possono essere piccoli bagliori di stato di coscienza meditativo o grandi e profonde esperienze di coscienza di sé, che culminano, solitamente dopo anni di pratica (ma anche no), negli stati di “super-coscienza”, ossia negli stati di coscienza superiori agli stati di coscienza ordinari, anche chiamati peak experiences. Si tratta di esperienze di tipo estatico, di unione col Tutto, di cui parlano da sempre i mistici di tutte le tradizioni spirituali.
 
Lo stato di grazia, di estasi super-cosciente, è ovviamente molto differente dallo stato di coscienza ordinario, caratterizzato da difficoltà psicologiche più o meno grandi, da emozioni negative, da dubbi e conflitti interiori.
 
Lo stato di supercoscienza è considerato dai mistici l’obiettivo a cui tendere, lo stato di “salute perfetta”. In questo senso lo stato di supercoscienza potrebbe essere considerato lo stato di salute a cui la persona in psicoterapia dovrebbe giungere per essere considerata “guarita”. Tuttavia questo mi sembra un obiettivo troppo ambizioso per una psicoterapia, che può durare anche solo pochi incontri.
 
Gli stati supercoscienti, se pur intensi e interessanti, sono piuttosto lontani e richiedono anni di ricerca e di pratica (se non tutta la vita). In psicoterapia invece molte persone hanno bisogno di affrontare delle difficoltà psicologiche ben determinate e in tempi contenuti. Il loro obiettivo è più specifico rispetto alla totalizzante esperienza della supercoscienza.
 
Per questo motivo, in questo articolo “mi accontento” di prendere in considerazione gli aspetti benefici della pratica meditativa anche quando questa non conduce ad uno stato di “illuminazione”, ma si limita ad aiutare la persona a raggiungere i propri obiettivi psicoterapeutici. Il processo di psicoterapia infatti trae giovamento dalla pratica meditativa … e viceversa.
 
 
Come la psicoterapia aiuta la pratica meditativa
In psicoterapia viene stimolata l’attenzione alla propria interiorità. Di solito vengono favoriti l’auto-osservazione e il riconoscimento dei propri pensieri, delle proprie azioni e delle proprie emozioni. Negli approcci terapeutici ad orientamento corporeo viene stimolata anche la consapevolezza del proprio corpo.
 
L’esercizio di portare l’attenzione alla propria interiorità aiuta a sviluppare gradualmente quella capacità di Mindfulness, ossia di presenza non giudicante, che è la base della pratica meditativa. Quindi un primo aiuto della psicoterapia alla meditazione sta proprio nella focalizzazione su di sé che la psicoterapia incoraggia.
 
Un secondo aiuto alla pratica meditativa, la psicoterapia lo offre promuovendo la trasformazione delle emozioni non risolte, degli stati d’animo “non digeriti” che pur essendo il risultato di esperienze passate, continuano ad influenzare il vissuto della persona nell’oggi.
 
Le emozioni non risolte limitano molto la pratica della meditazione. Tipicamente l’apprendista-meditante chiude gli occhi, porta l’attenzione alla propria interiorità e incontra il proprio caos interiore fatto di emozioni negative e di pensieri incontrollabili. E come biasimarlo se dopo qualche tentativo abbandona la pratica meditativa?
 
La psicoterapia, e in particolar modo quei tipi di psicoterapia che prendono in considerazione gli aspetti emotivi e non consapevoli della persona, e che durano un periodo di tempo non breve, aiutano la persona nel processo di mettere a posto il proprio disordine interno, a elaborare gli apprendimenti passati disfunzionali e dolorosi e a trasformarli.
 
Promuovendo la trasformazione del caos interiore in un sistema armonico, la psicoterapia aiuta a rendere l’esperienza meditativa piacevole, silenziosa e più profonda.
 
Un terzo aiuto che la psicoterapia apporta alla meditazione, è un aiuto indiretto, che sta nel fatto di favorire la persona a vivere le proprie relazioni importanti in modo armonioso e costruttivo.
 
Va da sé che riuscire a vivere armoniosamente la propria vita non è un obiettivo che si raggiunge in un giorno, ma quando la persona vive più armoniosamente la propria vita relazionale, ha più tempo e più energie per praticare la meditazione.
 
Mentre la psicoterapia aiuta a diventare sempre più silenziosi e quindi meditativi, parallelamente la meditazione può aiutare a portare avanti il lavoro psicologico su di sé.
 
 
Come la meditazione facilita il processo psicoterapeutico
Nel panorama dei diversi tipi di psicoterapia che esistono oggi, vi sono alcuni approcci psicoterapeutici che fanno regolare utilizzo della meditazione come tecnica centrale o complementare del processo terapeutico. Cito i più noti: la Mindfulness Based Cognitive Therapy, la Terapia dell’Accettazione e dell’Impegno, la Terapia Dialettico-Comportametale.
 
Nel nuovo millennio stiamo assistendo alla tendenza sempre più marcata di utilizzare i concetti teorici e le tecniche pratiche derivanti dalla millenaria tradizione della meditazione all’interno del processo della psicoterapia.
 
Nello specifico vediamo in quali modi.
 
 
Meditazione e auto-osservazione
La pratica meditativa addestra alla consapevolezza nel momento presente e dunque favorisce l’auto-osservazione di sé. Nello specifico la meditazione favorisce l'auto-osservazione delle seguenti dimensioni dell'esperienza:
  1. Auto-osservazione del proprio corpo.

    Molte pratiche meditative ad esempio si focalizzano sulla percezione di fenomeni fisiologici quali, ad esempio, il respiro, il peso del corpo, la postura, il battito cardiaco, etc. In questo modo la meditazione aiuta quei pazienti che non si danno profondamente il diritto di esistere a sviluppare gradualmente un senso di esserci, di essere presenti, di occupare dello spazio fisico in questo mondo.
     
  2. Auto-osservazione delle proprie emozioni.

    Quali emozioni stai vivendo in questo momento? Molte persone fanno fatica a rispondere a questa domanda. Eppure è una competenza fondamentale per dare senso a cosa ci sta accadendo, per scegliere e decidere come comportarsi. La meditazione può aiutare il paziente in psicoterapia addestrandolo alla percezione delle proprie emozioni.

    La meditazione insegna a rendersi conto delle proprie emozioni e ad accettarle per quelle che sono, senza cercare di cambiarle. Anche questa è una competenza molto importante per la psicoterapia, in quanto è fondamentale per il paziente in terapia accettare le proprie emozioni prima ancora di tentare di gestirle o di trasformarle.
     
  3. Auto-osservazione dei propri pensieri.

    La meditazione addestra il praticante a distaccarsi dai propri pensieri, dalle proprie fantasie e dalle proprie convinzioni. Così il paziente in psicoterapia meditando impara a riconoscere i propri “schemi mentali” tipici e a metterli in discussione, a “darsi tempo”, ossia impara che non è obbligato a credere immediatamente ai propri pensieri e che, invece, ha la possibilità di valutare se quello che sta pensando gli è utile o no, se è qualcosa che lo aiuta e rende la propria vita più bella oppure è qualcosa che lo danneggia.

    In questo modo il paziente scopre di non "essere i propri pensieri" e che può utilizzare la propria attività pensante per i propri fini. Questa capacità, che i meditanti chiamano “mettere distanza tra sé e i propri pensieri”, permette alla persona in psicoterapia di diminuire il potere delle proprie convinzioni negative su di sé.
     
  4. Auto-osservazione delle proprie relazioni personali.

    Lo stato di presenza mentale cui la pratica della meditazione tende, gradualmente permette di cristallizzare nella persona un “centro di gravità di permanente” che permette di osservare e considerare le proprie interazioni con gli altri da un punto di vista più stabile e meno dolorosamente coinvolto. Ciò è fondamentale per il paziente in psicoterapia che voglia comprendere più profondamente il proprio modo di comportarsi con gli altri e voglia migliorare la propria capacità di stare in relazione.
 
La pratica della meditazione produce poi un vantaggio di ordine pratico: il paziente, praticando la meditazione autonomamente a casa propria, porta avanti il lavoro psicologico scoprendo le proprie sensazioni, le proprie emozioni e i propri pensieri da sé e senza sottrarre tempo alla psicoterapia. In seguito, una volta individuati gli elementi problematici del proprio mondo interiore, può portarli in terapia e utilizzarli nel lavoro psicoterapeutico di elaborazione e di trasformazione.
 
 
Meditazione e inconscio
Oltre al fatto di promuovere la capacità di auto-osservazione, la meditazione contribuisce al buon esito della psicoterapia anche permettendo al paziente di accedere al proprio inconscio, ossia a quelle emozioni, convinzioni ed esperienze di cui non è normalmente consapevole allorché è immerso nelle proprie attività quotidiane.
 
La meditazione permette alla persona di fermarsi davvero, di guardarsi dentro e di darsi il tempo affinché i propri contenuti psichici al di fuori della coscienza possano presentarsi alla sua attenzione cosciente. In questo modo la persona può contattare i propri contenuti irrisolti, le emozioni negative e i pensieri distruttivi, che producono sofferenza nell’oggi. In altre parole, meditando la persona può incontrare la propria Ombra. Per poi lavorarci in psicoterapia.
 
 
Meditazione e rilassamento
Al di là dei generali benefici che la meditazione apporta alla psicoterapia in termini di auto-osservazione e di emersione dell’inconscio, talvolta la meditazione può essere consigliata dagli psicoterapeuti ai propri pazienti anche per la gestione di sintomi specifici, come ad esempio in caso di ansia o di insonnia.
 
In questi casi viene prescritta la pratica della meditazione al paziente per la sue qualità di rilassamento fisico, emotivo e mentale. Occorre sottolineare che la meditazione da sola non può curare un disturbo d’ansia (come ad esempio la Fobia sociale o un Disturbo di Attacchi di panico).
 
La meditazione aiuta a gestire e a ridurre i sintomi ansiosi promuovendo uno stato di rilassamento fisico e interrompendo quel circolo vizioso tra ansia e preoccupazione, per cui la persona, quando percepisce di sentirsi in ansia, contribuisce attivamente ad incrementare il proprio stato ansioso dando via libera alle preoccupazioni e anticipando scenari futuri foschi e problematici.
 
La meditazione riduce, quindi, i sintomi ansiosi, ma non li estingue del tutto. In questo senso la meditazione non va ritenuta lo strumento risolutivo di un disturbo d’ansia, ma piuttosto va considerata una valida strategia aggiuntiva di un più completo trattamento psicoterapeutico che individui e guarisca le cause profonde dell’ansia.
 
 
Meditazione per quali pazienti?
La psicoterapia e la meditazione sono dunque due discipline che possono potenziarsi vicendevolmente.
 
In particolare sono tali i benefici che la pratica meditativa apporta al processo psicoterapeutico, che si sarebbe tentati di consigliare la meditazione a tutti i pazienti.
 
Nei fatti però non tutte le persone sono disposte o riescono a investire tempo in questa pratica. L’atteggiamento verso la meditazione, infatti, varia molto da persona a persona. Alcune persone ritengono la meditazione molto noiosa. Altre la trovano insopportabile, una sorta di auto-tortura, tanto che preferirebbero scaricare un camion di mattoni piuttosto che meditare per mezz'ora. Altre persone ancora invece ne sono immediatamente attratte e la praticano molto volentieri.
 
Naturalmente le persone che vedono la meditazione come una tortura, oppure che non ne colgono lo scopo o la vivono con noia, molto difficilmente seguiranno il consiglio dello psicoterapeuta di praticarla con regolarità. Magari potrebbero compiacerlo all’inizio, meditando per qualche tempo, per poi evitare, o “dimenticare”, di praticarla. Per mia esperienza, in questi casi è inutile – o addirittura controproducente – insistere.
 
La meditazione è quindi un ottimo strumento, ma non è per tutti.
 
Per fortuna nella faretra dello psicoterapeuta vi sono molte altre frecce!
 
 
E lo psicoterapeuta non medita?
Lo psicoterapeuta non è quell’essere umano freddo e distaccato che dall’alto della sua perfezione si relaziona con i pazienti da uno stato di perenne serenità. Lo psicoterapeuta, anche se ha lavorato a lungo su di sé, e per questo ha raggiunto (si spera) uno stato di coscienza di centratura che caratterizza la sua vita cosciente per una parte considerevole del suo tempo, talvolta, anche lui, sperimenta emozioni negative e confusione mentale.
 
Se il terapeuta si trova in una condizione di confusione non può essere verosimilmente capace di aiutare un’altra persona, ossia il paziente, che magari si trova anch’esso in una condizione di confusione. Il cieco non può aiutare un altro cieco ad orientarsi.
 
In questi casi lo psicoterapeuta dovrà essere capace di mettere da parte il proprio stato di turbamento interiore per ritrovare, nel rapporto col paziente, la sua capacità di presenza e di lucidità.
 
A questo scopo è molto utile allo psicoterapeuta aver praticato e saper padroneggiare una tecnica di meditazione. Quando per suoi motivi personali, o dopo una seduta molto intesa, riconosce di essere turbato, la pratica della meditazione lo può aiutare a tornare in sé, ad uno stato di lucidità.
 
In questo modo lo psicoterapeuta riesce a recuperare quello stato di presenza da cui gli è possibile concentrarsi – con tutta la sua mente e tutto il suo cuore – sul paziente.
 
Per poi occuparsi – e risolvere – le proprie questioni aperte in un secondo momento.
 
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