Adriano Stefani Psicologo

Per tre giorni mi ritiro dal mondo e lavoro su di me

Il seminario residenziale sul Bambino Interiore: un percorso di terapia e di guarigione psicologiche.

Per tre giorni mi ritiro dal mondo e lavoro su di me

Il lavoro psicologico su di sé può essere condotto con diverse modalità: come autodidatti, in psicoterapia individuale, in psicoterapia di coppia, in psicoterapia di gruppo, in un contesto di gruppo residenziale della durata di alcuni giorni o in un contesto residenziale di lungo periodo (solitamente indicato per le situazioni di sofferenza psichica più gravi).

In questo articolo mi concentrerò sul lavoro psicologico su di sé che si svolge in un contesto di gruppo residenziale della durata di alcuni giorni.


 

La temperatura emotiva si accende

Un gruppo di persone che si concede il lusso di isolarsi dal mondo, di conoscersi senza maschere, di lavorare su di sé individualmente e di aiutarsi vicendevolmente in questo, avvia delle forze non abituali: l’intimità si fa più intensa della norma, le emozioni emergono alla coscienza più velocemente, vengono espresse e si trasmettono da un partecipante all’altro con una libertà ed un’empatia che solitamente nella vita quotidiana non ci si permette.
 
Liberi dalla quotidianità, dopo qualche ora, o qualche giorno, il gruppo dei partecipanti di un seminario residenziale incentrato sul lavoro psicologico, raggiunge solitamente un’alta “temperatura emotiva”, talvolta così intensa che può rappresentare per qualcuno un’esperienza mai prima esperita. E quando la “temperatura emotiva” è alta, i propri schemi mentali sono più facilmente individuabili, sia auto-osservandosi, sia osservando e identificandosi con gli altri partecipanti per scoprire che, talvolta, le modalità degli altri sono anche le proprie.
 
Chiunque abbia fatto l’esperienza di un gruppo di terapia di alcuni giorni (comunque lo si voglia chiamare: workshop, seminario, incontri di approfondimento, etc.), conosce i picchi di lucidità mentale e di comprensione emotiva che si possono raggiungere in questo contesto.


 
Le modalità della trasformazione psicologica

Un’ottimale “temperatura emotiva”, un clima di fiducia con il conduttore del seminario e tra i partecipanti, rappresentano le condizioni necessarie e di base per “dare il via alle danze”, per attivare i processi di comprensione e di maturazione psicologica.
 
La fiducia è la condizione di base irrinunciabile per qualsiasi psicoterapia. E questo vale sia per la terapia individuale, sia per la terapia di coppia, sia per la terapia di gruppo.
 
Tutti gli approcci di psicoterapia hanno sottolineato l’importanza fondamentale del rapporto di fiducia tra terapeuta e paziente, per poi porre l’accento (in modo diverso) sulle modalità di trasformazione psicologica. Queste, in estrema sintesi, sono:

  1. Il lavoro di terapia, ossia il processo di presa di coscienza delle proprie modalità automatiche e disfunzionali di pensare, di sentire e di agire.
     
  2. Il processo di guarigione, ossia di trasformazione, delle emozioni represse che sostengono le modalità automatiche e disfunzionali.
     
  3. La riscoperta e l’energizzazione della propria autenticità (ossia ciò che nei vari approcci è stato chiamato: il Vero Sé, il Bambino Meraviglioso, il Puer Aeternus, il Bambino Libero, l’Anima, la Scintilla Divina, e così via) e la messa in atto di nuovi e più sani comportamenti coerenti con la propria autenticità.

 


1. Il lavoro di terapia in gruppo

In un seminario residenziale, una volta “costituitosi il gruppo”, quando i partecipanti cominciano a conoscersi, a fidarsi del conduttore del seminario, a fidarsi l’un l’altra e ad entrare in intimità emotiva, può avere inizio un primo livello di lavoro psicologico, il “lavoro di terapia”, in cui le persone imparano a distinguere ciò che nel loro funzionamento psichico è autentico, da ciò che è inautentico, ossia esterno, condizionato e che deriva dagli apprendimenti passati.
 
Tutti noi, infatti, abbiamo delle modalità di percepire il mondo, di emozionarci e di comportarci che abbiamo imparato in passato e che ripetiamo, più o meno consapevolmente da quando siamo piccoli. Talvolta, o spesso, questi schemi, ripetuti al di fuori della consapevolezza, “cozzano” con ciò che davvero desideriamo oggi, e ciò produce in noi sofferenza.
 
Nella fase “terapeutica” i partecipanti del seminario vengono sistematicamente stimolati a esplorare e a ricordarsi degli eventi più importanti (spesso traumatici) della propria infanzia al fine di individuare le convinzioni negative che in tali occasioni hanno sviluppato.
 
Tali convinzioni negative possono riguardare sé stessi, gli altri e il mondo: “Il mondo è fatto di problemi. Io sono sbagliato, non sono all’altezza, sono incapace, piccolo, debole, in pericolo, colpevole... Gli altri, invece, sono forti, potenti e in gamba… Oppure sono egoisti e stupidi!”. E così via.
 
Tali convinzioni negative agiscono in noi per lo più al di fuori della consapevolezza e, ovviamente, producono sofferenza psichica. Da bambini, le abbiamo “risolte” con delle “decisioni infantili” sul migliore modo di comportarsi per cavarsela. E in questo modo sono nati gli schemi psicologici di sentire-pensare-agire automatici e inconsapevoli.
 
Questi schemi di emozione-pensiero-comportamento spesso originano durante i primi anni di vita e vengono perpetuati dalla persona in modo involontario, anche per tutta la vita.
 
Gli schemi psicologici agiscono al di fuori della consapevolezza perché si sono strutturati durante gli anni dell’infanzia, allorché la nostra “forza dell’Io”, la nostra capacità di presenza, il nostro “Stato dell’Io Adulto” (direbbe l’Analisi Transazionale), era in via di sviluppo. Durante l’infanzia, essendo poco o per nulla auto-coscienti, abbiamo fatto nostre le influenze dei “grandi”, senza rendercene conto, senza operare delle vere scelte coscienti.
 
Da adulti, tutti (e sottolineo tutti) gli esseri umani dispongono di una serie di schemi psicologici impliciti e automatici che possono non condurre esattamente alla felicità. Ma facciamo alcuni esempi, cosa che sempre accelera i processi di comprensione.
 
Vi è la possibilità che alcune persone portino nella propria psiche uno schema di perfezionismo, secondo il quale credano che, per essere accettati dagli altri (e da sé stessi), debbano fare ogni cosa in modo perfetto. Conseguentemente, talvolta (o spesso), tendono a fare troppo, a mettersi “sotto torchio” e a focalizzare la propria attenzione unicamente sulla dimensione della prestazione, dimenticando, ahimè, tutte le altre (la creatività, il piacere, l’amicizia, la genitorialità, la coppia, il riposo, etc.).
 
Un altro schema ereditato dal passato, e molto diffuso nella nostra società, è quello della compiacenza, secondo il quale le persone tendono ad occuparsi più dei bisogni degli altri che dei propri. Da bambini hanno percepito che compiacendo l’altro potevano ricevere quell’apprezzamento e quell’accettazione di cui tanto avevano bisogno e, da adulti, hanno strutturato una modalità rigida di occuparsi più degli altri che di sé stessi.
 
Questi due schemi vi suonano familiari? Conoscete qualcuno che ne è portatore? In una situazione residenziale di gruppo, diviene più facile ragionare su queste modalità, vederle in azione in sé stessi o in altri partecipanti.
 
Al di là di questi due schemi di funzionamento psicologico, ne esistono altri, come ad esempio quello della competizione che caratterizza le persone che tendono a paragonarsi in continuazione agli altri e a trasformare la propria vita in una gara di corsa in cui l’importante non è partecipare, bensì vincere.
 
C’è poi chi si paragona spesso agli altri, ma ha sviluppato uno schema di “specialità”, secondo il quale non è tanto importante vincere, quanto piuttosto distinguersi dagli altri quanto a artisticità, profondità di sentimenti e sensibilità.
 
Diffusi sono anche gli schemi psicologici di accumulazione di beni materiali o immateriali, gli schemi caratterizzati da un atteggiamento di dubbio costante, gli schemi di iper-vigilanza, gli schemi di ritiro dal mondo in cui ci si perde nel proprio mondo fantastico, o gli schemi per i quali il mondo è percepito come un campo di battaglia dove sottomettere o essere sottomessi, senza una via di mezzo.
 
Quasi tutte le tradizioni di psicoterapia hanno sottolineato l’importanza di portare alla coscienza tali schemi ripetitivi di funzionamento psicologico.
 
In psicoterapia individuale, di solito occorre molto tempo per individuare e portare alla coscienza del paziente il suo o i suoi schemi prevalenti, specie se la persona parte da zero.
 
In una situazione di gruppo, tale presa di coscienza è più rapida ed efficiente. In effetti, ritirarsi dal mondo per qualche giorno per concedersi di lavorare psicologicamente su di sé è una situazione privilegiata, che richiede tempo, energie e denaro, ma che ripaga in abbondanza dell’investimento. 

 

2. La trasformazione emotiva

Talvolta, in un percorso di psicoterapia individuale, dopo aver individuato i propri schemi tipici, la persona, in accordo col terapeuta, decide di interrompere il percorso. Tuttavia, questo può non essere sempre auspicabile se si tiene conto che gli schemi psichici hanno un loro moto di inerzia e tendono a riproporsi per forza di abitudine.
 
Ciò è dovuto al fatto che gli schemi psichici sono sostenuti da emozioni represse che rendono difficile il cambiamento. In altre parole, è difficile fare qualcosa di diverso, anche se si è capito che ciò che si è sempre fatto non è funzionale al proprio benessere, perché ci si imbatte nelle emozioni negative che si attivano proprio quando si cerca di fare qualcosa di diverso.
 
Per questo motivo, in un seminario residenziale che voglia davvero andare alla radice dei problemi, si prosegue e si approfondisce il lavoro psicologico andando ad occuparsi delle emozioni che sorreggono gli schemi disfunzionali. Talvolta questo tipo di lavoro viene chiamato “guarigione emotiva”.
 
Facciamo un altro esempio: una persona che da piccola è stata picchiata dal padre diverse volte, a seguito di questi traumi, ha sviluppato nell’infanzia la convinzione negativa su di sé: “Sono debole e in pericolo”. Per compensare questa convinzione negativa su di sé, ha poi imparato ad essere molto cauta, in allerta, iper-vigile, al fine di controllare la presunta o reale pericolosità delle situazioni della propria vita. Ha sviluppato così uno schema di iper-vigilanza che l’ha portata a convivere con un costante senso di paura e a porre ogni cosa in dubbio, esagerando, però, in cautela ed evitamento.
 
Per molto tempo, la persona del nostro esempio ha condotto una vita stando costantemente in allerta e diffidando di tutto e di tutti, una vita molto faticosa. Un giorno, dopo una buona dose di sofferenza, comincia però a farsi l’ipotesi che forse non è il mondo esterno ad avere qualche cosa che non va, ma che piuttosto è il suo funzionamento psichico ad avere qualche problema, e decide così di intraprendere un lavoro psicologico su di sé:
 
“Mi sento bloccato, non riesco a fare le cose, anche quelle più semplici, ad affrontare le piccole incombenze quotidiane, ogni cosa mi paralizza. Passo più tempo a pensare che ad agire”, riferisce allo Psicologo. Può cominciare a questo punto una fase di “lavoro terapeutico”, durante la quale la persona esplora e prende coscienza della propria modalità disfunzionale, del proprio schema di iper-vigilanza. Si rende conto di cosa fa interiormente, di dove l’ha imparato (nell’infanzia e nel rapporto col padre) e di come questo schema lo tenga oggi imprigionato.
 
Dopo la comprensione teorica, diviene naturale per la persona desiderare di migliorare il proprio agire, di pensare e di sentire. Decide, dunque, di fare qualcosa di diverso. Dal punto di vista pratico, si sforza di farsi bloccare meno dal proprio pensiero spaventato e ripetitivo e di allargare la sfera d’azione, di fare di più e meglio e, magari, con più piacere. Tuttavia… tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare!
 
Quando cerca di fare qualcosa di diverso, si scontra con le emozioni represse che sostengono lo schema di iper-vigilanza: il dolore, la rabbia e lo spavento legati ai traumi degli attacchi violenti del padre, le emozioni che sono rimaste nel suo inconscio non elaborate per decine di anni.
 
La persona, a questo punto, grazie alle consapevolezze raggiunte in psicoterapia potrebbe di fatto riuscire a comportarsi in modo diverso e più costruttivo, ma senza però essersi liberata davvero dallo schema di iper-vigilanza. Potrebbe, in altre parole, riuscire a comportarsi più liberamente, però senza sentirsi tranquilla, bensì “stringendo i denti” al fine di arginare e gestire le emozioni traumatiche e represse.
 
Decide di chiedere un aumento di stipendio, ma lo fa dovendo gestire uno stato di terrore. Decide di dedicarsi allo studio del pianoforte, ma sentendosi in colpa. La persona è cambiata nel modo di pensare e di agire, ma non emotivamente.
 
Per liberarsi veramente dallo schema di iper-vigilanza, la persona del nostro esempio ha bisogno di portare alla coscienza i traumi infantili, viverne le emozioni represse e, in tal modo, elaborare i traumi anche, o forse soprattutto, emotivamente.
 
Questa seconda fase di lavoro psicologico su di sé, talvolta chiamata “guarigione” (per differenziarla dalla “terapia” propriamente detta), ha bisogno di uno spazio protetto, di un tempo dedicato e di un ambiente sicuro proprio perché coinvolge fortemente la dimensione delle emozioni.
 
Un seminario residenziale, guidato da persone che abbiano compiuto (almeno in parte) il processo di guarigione, in cui i partecipanti abbiano avuto modo di conoscersi, legare ed aprirsi fra di loro, è un contesto in cui tali guarigioni possono avvenire.
 
Questa fase è meno cognitiva e più emotiva ed esperienziale. Si vivono emozioni, anche molto intense. E, a volte, si esprimono tali emozioni, in un ambiente pensato e strutturato a questo scopo.

 

3. Il contatto con la propria autenticità

Dopo la guarigione, si liberano naturalmente le forze positive che prima si trovavano nella psiche al di fuori della coscienza.
 
I partecipanti del seminario, dopo aver esplorato i propri schemi e aver guarito le ferite psichiche, si permettono di far emergere ciò che di bello c’è in loro. È la fase della gioia, il momento dell’arte e della festa, della musica e del ballo, della scoperta dei propri autentici desideri e dei propri talenti.
 
Le persone dismettono le proprie catene psichiche, talvolta per la prima volta, magari temporaneamente, e si sentono libere di godere della vita, una sensazione che alle prime può sembrare strana se si è abituati a leggere l’esistenza come un problema da risolvere, e non come una opportunità da cogliere.
 
Il nostro seminario sul Bambino Interiore
Da alcuni anni io e mia moglie Sabina offriamo annualmente un seminario residenziale di tre giorni sul tema del Bambino Interiore. Questo seminario è stato da noi pensato per far vivere ai partecipanti le fasi appena descritte di “terapia”, di “guarigione” e di riscoperta del Bambino Libero.
 
I partecipanti vengono accompagnati nell’esplorazione delle diverse tappe evolutive dello sviluppo dell’essere umano: la nascita, i primi 9 mesi di vita, il periodo dai 9 ai 18 mesi di vita, il periodo dai 18 mesi ai 36 mesi, e così via. È un percorso strutturato in cui si analizzano con sistematicità gli apprendimenti realizzati in ogni specifico periodo e i relativi schemi psicologici automatici e inconsci. A questo scopo, vengono utilizzati tutta una serie di esercizi “regressivi”: visualizzazioni guidate, giochi di ruolo a coppia, giochi di ruolo di gruppo.
 
I partecipanti vengono stimolati a entrare in contatto con le ferite infantili che hanno scandito gli apprendimenti traumatici infantili più importanti. Si dà così spazio all’esplorazione e all’elaborazione emotiva dei vissuti profondi e antichi. Questo processo di guarigione è stimolato mediante esercizi di movimento corporeo, di respirazione e di espressione emotiva. Lo scopo è quello di trasformare e alleggerire il carico delle emozioni represse.
 
Non è raro che qualche partecipante ci riveli di aver colto durante il seminario dei ricordi traumatici dimenticati da tanti anni. Altri partecipanti riferiscono, invece, di aver approfondito dei ricordi traumatici già noti, scoprendone risvolti e significati nuovi. I nuovi ricordi emersi durante il seminario rappresentano spesso il materiale per continuare il processo di maturazione e di crescita psicologiche, al di fuori del seminario.
 
Durante il seminario amiamo dare spazio anche, e soprattutto, alla terza fase, ossia alla fase positiva. Utilizziamo in questa parte del seminario degli esercizi e dei giochi atti a stimolare e a scoprire il Bambino Libero, con lo scopo di liberarne la creatività e la gioia.
 
Dopo il seminario, solitamente i partecipanti “si portano a casa” numerose sensazioni somatiche di gioia (che perdureranno per qualche tempo) e alcune nuove decisioni sulla propria vita capaci di stimolare cambiamenti positivi nella direzione del proprio Vero Sé. Decisioni, piccole o grandi, che influenzeranno la vita concreta e quotidiana una volta “ritornati nel mondo”, con la consapevolezza, però, di avere al proprio interno un Vero Sé, un Bambino Libero, che permette di stare nel mondo, senza esserne travolti: di “stare nel mondo, senza essere del mondo”.

  
Il prossimo seminario previsto

Il prossimo seminario sul Bambino Interiore è previsto per febbraio 2025 a Bracciano (Roma), dalla mattina di venerdì 14 al pomeriggio di domenica 16. Per informazioni è possibile contattare direttamente me al numero WhatsAppp: 348 5830220 o via Email all'indirizzo: msg@adrianostefani.it.


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