Adriano Stefani Psicologo

Quando la psicoterapia non funziona

La persona si rivolge ad uno specialista competente, si reca regolarmente in terapia, però nulla sembra accadere. Cosa non sta funzionando?

Quando la psicoterapia non funziona
Può accadere di essersi rivolti ad uno specialista incapace. E questa è la risposta più banale. Ma se diamo per scontato che lo psicoterapeuta sia un professionista capace (si legga quest’articolo in cui elenco i segni per riconoscere un terapeuta preparato e capace), come avviene allora che talvolta una persona vada in terapia per un lungo periodo senza risolvere i propri disturbi psicologici?
 
In questo articolo descriverò alcune situazioni tipiche che possono ostacolare il buon esito di un percorso psicoterapeutico. L’obiettivo è quello di aiutare le persone a prevenire o ad aggirare tali ostacoli.
 
 
Scarso impegno del paziente
Una psicoterapia di solito implica la partecipazione da parte del paziente a delle sedute a pagamento una volta a settimana. Talvolta il terapeuta dà al paziente anche dei compiti da svolgere a casa.
 
Ma la terapia non richiede solo un investimento di tempo e di denaro da parte del paziente. Affinché la terapia funzioni la persona ha bisogno di essere motivata a star meglio. Ha bisogno di impegnarsi in prima persona nel processo di miglioramento della propria vita.
 
Impegnarsi in un lavoro psicologico significa investire le proprie energie sia durante le sedute sia nei giorni tra le sedute di terapia. Significa esplorare e svelare le proprie emozioni e le proprie convinzioni.  Vuol dire non fermarsi alla comprensione, ma tradurre la comprensione in nuovi comportamenti.
 
E questo non è facile, specie se la persona è rimasta in una condizione di stallo per anni prima di rivolgersi allo specialista.
 
In questi casi compito del terapeuta sarà quello di accompagnare la persona alla consapevolezza della necessità di impegnarsi attivamente e in prima persona se vuole ottenere risultati positivi dalla psicoterapia. Con pazienza lo psicoterapeuta stimolerà la persona ad attivarsi senza mai perdere la fiducia nel fatto che la persona prima o poi riuscirà (magari molti anni dopo con un altro terapista) a raccogliere la motivazione necessaria a uscire dallo stallo e a intraprendere un proficuo lavoro psicologico.
 
INDICAZIONE TERAPEUTICA: se sei in terapia e la terapia non ha finora avuto successo, chiediti con onestà: mi sono impegnato realmente consacrando alla terapia tempo e sforzi? Sono in terapia per mia scelta oppure perché così si aspetta qualcun altro, il mio coniuge, i mie genitori, i miei familiari? Se riconosci di essere stato fino a questo punto poco motivato, discutine apertamente con il tuo terapeuta.
 
 
Il paziente oppositivo
C’è un tipo di persona che passa da uno specialista della salute mentale all’altro per poi dire: “Ho frequentato ogni tipo di psicologo e di psichiatra per le mie difficoltà e non è migliorato nulla”.
 
Va regolarmente agli appuntamenti, segue tutte le raccomandazioni ma continua a soffrire molto. E’ chiaro – per il paziente – che le sue difficoltà derivano dalla incapacità degli specialisti che non riescono a curarlo.
 
Questo tipo di persona, in apparenza consenziente e disponibile, in fondo tende ad opporsi e a giudicare: preferisce punire il terapeuta piuttosto che prendersi cura di sé. Di conseguenza la sua motivazione ad impegnarsi nella terapia viene contrastata dal suo risentimento. E la persona che ci rimette di più, naturalmente, è il paziente stesso.
 
In questi casi il compito del terapeuta sarà quello di aiutare il paziente a rendersi consapevole del proprio stile oppositivo e indiretto che si manifesta in terapia come nella sua vita.
 
INDICAZIONE TERAPEUTICA: se hai il sospetto di rientrare in questa categoria di persone, se sei in terapia e avverti una sottile soddisfazione quando puoi lamentarti dell’inefficacia della terapia o dell’incapacità del terapeuta, chiediti profondamente se è più importante il tuo benessere o dimostrare che l’altro è sbagliato. Ti auguro di decidere di prenderti cura di te … anche se questo potrà fare piacere al tuo terapeuta.
 
 
Problemi con lo psicoterapeuta
Il primo psicoterapeuta che si incontra può non essere quello giusto. Di fatto scegliere lo psicoterapeuta giusto è una questione difficile e decisiva ai fini del buon esito della terapia.
 
Bisogna scegliere uno psicoterapeuta oculatamente, tenendo conto che lo si incontrerà regolarmente ogni settimana e che sarà necessario aprirsi con lui/lei. Allo psicoterapeuta si esprimeranno i propri sentimenti, si racconteranno le proprie esperienze personali (pur nella sicurezza del segreto professionale) ed è importante chiedersi se ci si sentirà a proprio agio con lui e se si ha fiducia nelle sue capacità.
 
Per trovare lo psicoterapeuta giusto occorre tener conto delle proprie preferenze personali, delle qualifiche e dell’esperienza dello psicoterapeuta nel trattare il disturbo per i quali ci si rivolge a lui.
 
Nell’articolo citato (Come scegliere uno Psicoterapeuta) fornisco dei consigli che includono fattori quali i costi, la vicinanza dalla propria abitazione o dal proprio posto di lavoro, l’approccio (ossia il modo di lavorare) dello specialista, la qualità della comunicazione che si ha con lui/lei.

INDICAZIONE TERAPEUTICA: se non ti senti a tuo agio nel parlare con il tuo terapeuta, prima di abbandonare la terapia, discutine con lui. Potrebbe essere l’occasione di scoprire qualcosa di nuovo su di te.
 
 
Problemi con il supporto sociale
La famiglia, gli amici e perfino i conoscenti possono avere un ruolo molto importante nel raggiungimento del benessere psicologico. Se le persone che ti sono vicine incoraggiano e sostengono la tua crescita personale, allora rappresentano un influsso positivo nel perseguimento degli obiettivi terapeutici.
 
Talvolta però, le persone che ci sono vicine possono ostacolare il raggiungimento degli obiettivi della terapia.
 
Durante una psicoterapia, si sviluppano nuove visioni di sé e del mondo, nuove competenze e modalità di comportarsi. Alcuni familiari o alcuni amici, possono frenare la persona – senza l’intenzione di nuocere – dal mettere in atto gli apprendimenti della terapia. Ad esempio, può accadere che una persona che soffra di Attacchi di panico e che si sta impegnando in una procedura di “desensibilizzazione” (in cui viene invitata dal terapeuta ad affrontare gradualmente le situazioni che inducono le reazioni di panico), sia scoraggiata da un familiare iperprotettivo, col risultato che la persona rimane nella situazione di patologia e di dipendenza dagli altri.
 
Altre volte le persone vicine possono attaccare direttamente la terapia – per i più disparati motivi personali –  che la persona sta portando avanti. In questo modo la scoraggiano e minano il rapporto di fiducia (necessario) che ha con il proprio terapeuta.
 
INDICAZIONE TERAPEUTICA: sei in terapia e un familiare o un amico ti sta ostacolando dal mettere in pratica un nuovo comportamento. Se hai la speranza che l’altra persona possa ascoltarti, apriti con lei e parlando da cuore a cuore spiegale quanto è importante per te quello che stai facendo di nuovo: potrebbero avvenire miracoli! Se non hai anche la minima speranza che l’altro possa ascoltarti, tieni per te ciò che hai maturato in terapia e vai alla ricerca di persone che possano comprenderti e sostenerti tra una seduta e l’altra.
 
 
Disturbi ulteriori
Oltre al disturbo psicologico per il quale la persona è in terapia, questa potrebbe avere un altro disturbo che non è preso in considerazione. Ad esempio potrebbe soffrire di disturbi di natura fisica, quali: mal di testa, disturbi gastrici o intestinali, reflusso gastroesofageo, etc. Oppure potrebbe soffrire di altri disturbi di natura psicologica, quali ad esempio: depressione, fobia sociale, disturbo da stress post-traumatico, etc.
 
Se i disturbi ulteriori non vengono diagnosticati o presi in considerazione, possono ostacolare il percorso psicoterapeutico.
 
INDICAZIONE TERAPEUTICA: se sei in terapia per curare uno specifico disturbo psicologico e sospetti di avere un disturbo ulteriore, esprimi la tua preoccupazione al tuo psicoterapeuta. Se ti viene diagnosticato un disturbo ulteriore, il trattamento terapeutico deve tenerne conto per curare entrambi i disturbi.
 
 
La paura di cambiare
Il paziente ha compreso alcune sue modalità disfunzionali, tuttavia stenta a passare all’azione in modo nuovo e costruttivo. Alla prospettiva di mettere in atto comportamenti nuovi, si sente bloccato da un senso di ansia e di paura.
 
Quali sono le paure che possono bloccare una persona in terapia?
  • La paura del giudizio: la persona si impaurisce all’idea che se cambierà potrà essere giudicata negativamente, in particolar modo dai familiari e dagli amici. Ad esempio, potrebbe dirsi: “Se mi comporto in modo diverso, cosa penseranno gli altri di me?”.
  • La paura del rifiuto. Ad esempio la persona potrebbe pensare: “Se cambierò il mio modo di essere, le persone non mi vorranno più bene e mi eviteranno”.
  • La paura della responsabilità. Se la persona starà meglio, dovrà fare a meno di tutte le cure che le persone vicine le hanno sempre prodigato in virtù del fatto che era una persona in difficoltà. Diventare autonomi e felici, è dura: richiede che la persona diventi responsabile dei problemi e delle difficoltà della propria vita.
  • La paura di lasciare la terapia. E’ un po’ di tempo che la terapia va avanti. Tra il terapeuta e il paziente si è creato un bel rapporto di intimità, di fiducia. La terapia è diventata quel luogo sicuro che il paziente aveva tanto cercato nella sua vita, così è tentato di non guarire per non dover lasciare il terapeuta.
 
INDICAZIONE TERAPEUTICA: se il tuo percorso di crescita è ostacolato dalla paura del cambiamento, affronta questo ostacolo in terapia in modo da superarlo ed acquisire sempre maggiore autonomia e benessere.
 
Perché la psicoterapia funzioni c’è bisogno di uno psicoterapeuta capace e compassionevole e di un paziente motivato e coraggioso.
 
 
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