L’intelligenza emotiva
Tutti conoscono il Q.I. (Quoziente Intellettivo). Però il Quoziente Emotivo non è meno rilevante per il benessere della persona.
L’intelligenza si compone degli strumenti che aiutano l’essere umano ad essere felice e ad adattarsi al proprio ambiente.L’intelligenza emotiva, che si basa sulla capacità di far fruttare le risorse emotive dell’essere umano, costituisce una parte molto importante dell’intelligenza.
L’intelligenza emotiva è divenuta nota in Italia con la pubblicazione del libro di Daniel Goleman, intitolato, appunto: Intelligenza emotiva.
Faccio notare a chi mi segue da tempo che il concetto di Intelligenza emotiva può essere sovrapposto ai concetti di “intelligenza intrapersonale” e “intelligenza interpersonale” della Teoria delle intelligenze multiple (di cui ho scritto nell’articolo: Intelligenza e benessere).
Tante mappe per un unico territorio
Tutti questi nomi (Intelligenza emotiva, intrapersonale, interpersonale, etc.) possono generare una certa confusione. Vorrei rassicurare il lettore sul fatto che non ha bisogno di ricordare a memoria tutti questi concetti, né che dovrà comprendere le differenze tra le diverse teorie per trarre vantaggio dalle conoscenze che offrono.
Le diverse teorie propongono dei concetti, ossia delle generalizzazioni, che hanno lo scopo di descrivere l’intelligenza umana.
Si può pensare a queste teorie (Intelligenza Emotiva, Intelligenze multiple, Analisi Transazionale, etc.) come a delle mappe che tentano di descrivere un unico territorio: l’essere umano.
Come esistono diversi tipi di mappe dell’Italia (geologica, politica, stradale, etc.), allo stesso modo esistono diverse mappe dell’essere umano. Le varie mappe sono sovrapponibili, presentano delle somiglianze, ma non sono uguali. Ogni mappa, ogni teoria psicologica, descrive qualcosa di diverso sull’essere umano e della sua psiche. Ogni mappa, poi, serve a qualcosa di diverso.
Ma bando agli indugi, andiamo ad osservare più da vicino la mappa dell’Intelligenza emotiva, cominciando col cogliere le differenze da quell’altra mappa (ultra-nota) del Quoziente Intellettivo.
Differenze con il Q.I.
Quando si parla di intelligenza, la mappa, ossia la teoria, più diffusa è quella del Quoziente Intellettivo. Il Q.I. prende in considerazione (quasi unicamente) gli aspetti logico-matematici e linguistici dell’intelligenza umana.
Per lungo tempo il Q.I. è stato praticamente usato come sinonimo di intelligenza. Tuttavia, nel corso del tempo, è stato osservato un fatto curioso: molte persone con un Q.I. elevato non hanno poi avuto una vita costruttiva e soddisfacente. E, all’opposto, è stato notato che molte persone con un Q.I. moderato hanno avuto vite ricche e appaganti.
Qualcosa non tornava. Se l’intelligenza rappresenta l’insieme degli strumenti per essere felici e adattarsi all’ambiente, come mai un numero significativo di persone aveva una vita soddisfacente a prescindere dal loro Quoziente Intellettivo?
Evidentemente il Q.I. non descrive tutta l’intelligenza umana, nello stesso modo in cui la cartina stradale dell’Italia non descrive tutti i fatti dell’Italia: le montagne, ad esempio, non vi compaiono.
Ai nostri scopi, per comprendere ciò che contribuisce al benessere umano, torna utile avvalersi anche di una altra teoria: la mappa dell’Intelligenza emotiva.
L’Intelligenza Emotiva rappresenta la capacità di farsi largo attraverso le difficoltà (e i doni) della vita sapendo gestire le proprie frustrazioni e sapendo utilizzare le proprie emozioni come risorsa, piuttosto che come condanna.
Col tempo è nato dunque il concetto di Q.E. (Quoziente Emotivo) che, accanto al Q.I., può aiutarci a spiegare e a capire come mai alcune persone “riescono bene” nella vita, e altre no.
In ultima analisi, sembra che entrambe le Intelligenze possano aiutare le persone ad avere una vita soddisfacente.
Ma cosa sono le emozioni?
Le emozioni, che si distinguono dai sentimenti e dall’umore, sono delle “esperienze psicofisiologiche”. Sono, dunque, dei vissuti sperimentati soggettivamente (il punto di vista “psico”) e, al contempo, delle modificazioni del funzionamento del nostro corpo (il punto di vista “fisiologico”, come ad esempio: l’accelerazione del battito cardiaco, il tendersi dei muscoli, etc.).
Quante e quali sono le emozioni? Sembra incredibile, ma i diversi autori che si sono cimentati con questa materia di studio non sono riusciti a trovare una risposta univoca: il numero delle emozioni principali varia – secondo gli studiosi – da quattro a otto.
Il famoso psicologo americano Paul Ekman, a partire dallo studio delle espressioni facciali di esseri umani appartenenti a culture molto diverse tra loro (dagli aborigeni della Nuova Guinea agli statunitensi), ha individuato le emozioni universali dell’essere umano, ossia quelle emozioni che sono condivise da tutti gli esseri umani a prescindere dalla propria cultura di appartenenza. Il primo – e il più noto – elenco delle emozioni di base individuate da Ekman comprende le seguenti sei emozioni fondamentali: rabbia, disgusto, tristezza, gioia, paura, sorpresa.
Ekman ha partecipato, in quanto consulente scientifico, alla realizzazione del bellissimo film di animazione “Inside out”, in cui però, forse per motivi narrativi, le emozioni di base sono solo cinque (manca l’emozione della sorpresa).
E a cosa servono le emozioni?
Le emozioni predispongono all’azione agendo contemporaneamente sulla dimensione psicologica e sulla dimensione fisica. Da un lato il vissuto soggettivo dell’emozione spinge la persona a intraprendere una data azione. Dall’altro le emozioni predispongono il corpo all’azione (agendo sui muscoli, gli ormoni, le pulsazioni cardiache, la sudorazione, il ritmo respiratorio) prima ancora che la persona abbia preso una decisione cosciente.
Le emozioni dunque permettono di reagire rapidamente, fatto che era estremamente importante quando migliaia di anni fa l’essere umano viveva nella jungla senza la tecnologia di oggi e quando il saper rispondere prontamente era talvolta una questione di vita o di morte. Chi è la preda fra noi due? Prima ancora di porsi coscientemente e razionalmente questa domanda, molto spesso per sopravvivere l’essere umano ha avuto bisogno di reagire. Insomma agire subito, non importa se in modo impreciso.
A quali comportamenti ci predispongono i vari tipi di emozione? Si potrebbe ritenere scontata la risposta a questa domanda se non fosse che, incredibilmente, molte persone arrivano all’età adulta senza essersi mai interrogati sulla propria vita emotiva interiore. Domande quali: “Quali e quante emozioni provo?” o “A cosa mi servono le emozioni?” sono domande che le persone in genere non sono stimolate a porsi durante il proprio processo evolutivo e formativo. Infatti queste nozioni di base non vengono di norma insegnate né in famiglia né nelle scuole dell’obbligo.
Riprendendo l’elenco delle emozioni di base di Ekman, vediamo a quale specifico tipo di azione ci predispone ogni emozione.
- Rabbia. La frequenza cardiaca aumentata, l’adrenalina, il sangue che affluisce alle braccia preparano la persona ad affrontare risolutamente un avversario. Spesso la rabbia è difensiva e viene innescata dalla percezione di essere invasi dal mondo esterno o di aver subito un sopruso. Altre volte l’emozione della rabbia accompagna l’intenzione di sopraffare o conquistare qualcosa o qualcuno. In questo caso si parla di rabbia predatoria, piuttosto rara in terapia e nella vita quotidiana di oggi.
- Disgusto. Il labro superiore si solleva lateralmente, il naso si arriccia: il disgusto predispone ad allontanare qualcosa che offende il gusto o l’olfatto. Ciò che vogliamo allontanare può essere un cibo avariato. Il “disgusto sociale” può invece riguardare una persona il cui comportamento ci offende.
- Tristezza. L’energia fisica scende, così come l’interesse per le attività della vita. A fronte di una perdita (reale o percepita, poco importa) la tristezza stimola la persona a fermarsi, elaborare i fatti, ad assimilarne le conseguenze e a adeguarsi all’accaduto. Una volta accettata la perdita, tornate le energie, la persona è pronta per sviluppare nuovi progetti.
- Gioia. Si inibiscono i centri cerebrali dei sentimenti negativi e dei pensieri angosciosi. La persona diviene disponibile a rilassarsi, a condividere il proprio tempo con gli altri, a svolgere qualsiasi compito abbia deciso di intraprendere.
- Paura. Un gran flusso di ormoni predispone il corpo ad uno stato di allerta. Allo stesso scopo, il sangue affluisce ai grandi muscoli scheletrici, specie quelli delle gambe, e defluisce dalla periferia del corpo: le mani si raffreddano e il volto impallidisce. La paura viene innescata da una minaccia (reale o percepita) e predispone il corpo e la psiche ad aumentare il generale livello di vigilanza in modo da essere pronti all’azione e valutare la migliore risposta.
- Sorpresa. Le sopracciglia si sollevano in modo da far avere una visuale più ampia: la sorpresa predispone a raccogliere il maggior numero di informazioni possibile rispetto ad un evento inatteso non minaccioso.
Sorvolo intenzionalmente sui problemi di classificazione delle emozioni. Alcuni studiosi considerano anche altri vissuti – quali ad esempio la vergogna, il senso di colpa, la gelosia, la noia – come delle emozioni di base a se stanti. Altri le considerano delle emozioni complesse, ossia delle combinazioni di emozioni di base. Ad esempio l’invidia viene considerata da alcuni come la combinazione di tristezza e rabbia. Il dibattito continua. Per il momento è meglio accettare il fatto che abbiamo diverse mappe per un unico territorio. Utilizziamo quelle più funzionali!
Espressione emotiva
Le emozioni di base rappresentano delle spinte all’azione universali (appartengono a tutti gli esseri umani).
Il modo in cui il singolo individuo esprime le proprie emozioni è variabile perché influenzato dagli apprendimenti culturali e familiari. Ad esempio, la tristezza che viene naturalmente vissuta soggettivamente in occasione di un lutto, viene manifestata all’esterno in modi molto diversi a seconda della cultura di appartenenza. In alcune culture durante i funerali non si piange pubblicamente perché le espressioni esteriori sono scoraggiate, in altre culture l’espressione della tristezza mediante il pianto viene incoraggiata fino al punto di assoldare delle apposite persone che durante i funerali piangano in continuazione (come ad esempio nel mondo antico le prefiche).
Gli esseri umani, dunque, esperimentano tutti le stesse emozioni che li spingono a reagire in modi simili. Tuttavia l’espressione finale delle emozioni è molto diversa tra gli esseri umani. Tali differenti modalità di espressione sono apprese e dipendono largamente dalla famiglia e dalla cultura di appartenenza.
Come si manifesta l’intelligenza emotiva
L’intelligenza emotiva si esprime (secondo gli psicologi americani Salovey e Mayer) secondo cinque ambiti principali.
- Autoconsapevolezza. La capacità di rendersi conto delle proprie emozioni nel momento stesso in cui si presentano.
Il sentire e il cogliere le proprie emozioni – positive o negative – va insieme con un senso di “esserci” e di “comprendersi”. Al contrario, quando non si è in grado di cogliere le proprie emozioni, si vive uno stato di confusione e di incertezza.
La capacità di essere consapevoli delle proprie emozioni nel momento presente è la prima e la più importante componente dell’intelligenza emotiva, su cui si fondano tutte le altre.
- Dominio di sé. La capacità di controllare le proprie emozioni, di limitarle per mantenere un atteggiamento costruttivo.
Questa abilità permette alle persone di calmarsi, di ridurre l’ansia, di accettare la tristezza senza farsene sopraffare, di gestire l’irritazione senza che si trasformi in uno scoppio d’ira distruttivo. Una buona padronanza sulle proprie emozioni permette di affrontare e di superare i momenti di difficoltà, qualità che in psicologia viene chiamata “resilienza”.
- Motivazione. Le due precedenti abilità – consapevolezza e dominio delle proprie emozioni – sono condizioni necessarie per essere capaci di mantenersi motivati nel perseguimento dei propri personali obiettivi.
La capacità di auto-motivarsi ha anche a che fare con la capacità di scoprire e di cercare di raggiungere i propri obiettivi. In altre parole, permette di cogliere e di perseguire la propria Vocazione.
- Empatia. La capacità di riconoscere le emozioni altrui.
L’empatia si basa sulla autoconsapevolezza delle proprie emozioni, perché senza la coscienza delle proprie emozioni non vi può essere coscienza delle emozioni altrui.
Le persone empatiche riescono a cogliere le emozioni, i desideri e i bisogni altrui, il che le rende più adatte ai lavori in cui la relazione è importante, come ad esempio le professioni di cura, di aiuto e di insegnamento.
- Gestione delle relazioni. La capacità di stare insieme agli altri sapendo influenzare positivamente le emozioni degli altri.
Le persone con una buona capacità di gestione delle relazioni hanno successo nelle attività in cui è importante saper gestire gruppi di persone o negoziare soluzioni tra parti in conflitto.
Essere “emotivamente intelligenti” implica essere consapevoli, dare senso e usare costruttivamente le proprie emozioni, sia quelle piacevoli sia quelle spiacevoli. Ciò che ci permette di essere “emotivamente intelligenti” non è essere sempre felici, ma accettare tutte le emozioni dentro di noi, e saperle utilizzare per vivere al meglio la nostra vita.
Alle cinque capacità dell’intelligenza emotiva riconosciute tradizionalmente, personalmente ne aggiungo altre due cui attribuisco una grande importanza per il benessere e la realizzazione personali:
- Discernimento. La capacità di cogliere quanto dell’emozione che si sta vivendo rappresenta una sana risposta ad una situazione presente e quanto invece rappresenta una reazione ad una situazione passata.
Questo perché gli esseri umani, a differenza degli animali, sono capaci di reprimere le proprie emozioni per poi vivere gli effetti di tali emozioni represse in un secondo momento (anche anni dopo).
Ad esempio, un uomo si spaventava da bambino quando i “grandi” lo biasimavano. Ciò avveniva spesso e nessun adulto in quei momenti lo aiutava a tranquillizzarsi. Così, non riuscendo a fare di meglio, ha represso in sé tutta quella paura. Il giorno del suo primo esame universitario prova moltissima paura, tanto che è tentato di tornare a casa. Ma in che misura la paura che sta vivendo è una risposa all’oggi (ossia alla situazione dell’esame) e in che misura è una reazione alla sua storia infantile (ossia alle sgridate di papà)? Saper rispondere a questa domanda è fondamentale per comprendere di cosa abbia autenticamente bisogno oggi. Se l’uomo riesce a discernere che la sua reazione di paura è legata al suo passato può anche cogliere che in sede di esame non ha bisogno di essere ipervigile e di prepararsi alla fuga come spingerebbe a fare l’emozione della paura, ma ha bisogno di sostenersi e tranquillizzarsi per affrontare proficuamente l’esame.
- Trasformazione. La capacità di accettare profondamente il proprio vissuto emotivo negativo fino al momento in cui questo si trasforma in una emozione più funzionale.
Ad esempio, una persona sperimenta una grande rabbia durante il lutto di suo padre. Accettando completamente la propria rabbia, questa si trasforma in tristezza e lacrime che, una volta versate, lo aiuteranno a trovare il sostegno degli altri, ad accettare la perdita del padre e a ritrovare le energie per riprendere la propria vita.
Sviluppare l’intelligenza emotiva
Come nell’apprendimento di una seconda lingua, se si viene esposti nell’infanzia ad un ambiente dove è diffusa una elevata intelligenza emotiva, il bambino (e poi l’adulto) svilupperà rapidamente e naturalmente una buona intelligenza emotiva.
Di conseguenza, i genitori hanno una enorme responsabilità rispetto alla possibilità che i propri figli sviluppino una elevata intelligenza emotiva. A questo scopo i genitori possono aiutare i figli a:
- Riconoscere le proprie emozioni, sentirle nel corpo, dare loro un nome.
- Comprendere il motivo per cui stanno provando alcune emozioni e non altre: cosa ha stimolato una data emozione? Perché il bambino sta provando rabbia? Forse c’è qualcuno che ha invaso il suo spazio, gli ha preso un gioco o lo sta controllando in una misura che per lui risulta intollerabile?
- Accettare le proprie emozioni. Normalizzare le emozioni: “Tutti si arrabbiano / hanno paura / si intristiscono a volte, anche il papà e la mamma”.
- Cogliere il bisogno che l’emozione sta comunicando. “D’accordo sei arrabbiato. E cosa vorresti rispetto a questo?”. Un bambino talvolta non lo sa.
- Esprimere in modo produttivo. Cosa può fare il bambino rispetto all’emozione che sta provando? Cosa può fare di costruttivo?
Tutti questi apprendimenti avvengono per lo più in modo implicito. Se il bambino vede il proprio genitore riconoscere le proprie emozioni, comprenderne il senso, accettarle, cogliere il bisogno soggiacente e esprimere costruttivamente le proprie emozioni, copierà gli stili emotivi del genitore e svilupperà una buona intelligenza emotiva.
L’intelligenza emotiva può essere però anche intenzionalmente coltivata e insegnata. Ad esempio, “Intelligenza emotiva per un figlio” è un piccolo grande libro che rappresenta una guida per i genitori che vogliono prendersi cura dello sviluppo emotivo dei propri figli e che mi sento di consigliare. Da leggere con lentezza!
Da adulti, anche se non si è cresciuti in una famiglia d’origine in cui non si è stati stimolati a sviluppare l’intelligenza emotiva, è tuttavia possibile lavorare su di sé in modo da svilupparla. A questo scopo, alla fine di questo articolo propongo un esercizio per coltivare la propria intelligenza emotiva, a tutte le età.
Un percorso di psicoterapia che lavori (anche) sulla dimensione delle emozioni (non tutti i Tipi di psicoterapia lavorano sulle emozioni) sistematicamente aiuta la persona a prendere contatto, esplorare, dare senso e gestire le proprie emozioni e, in tal modo, a sviluppare la propria intelligenza emotiva.
Un esercizio per sviluppare l’intelligenza emotiva
Siccome la teoria è una buona cosa ma è del tutto inutile quando non conduca ad un miglioramento pratico e reale della propria vita, propongo qui di seguito un esercizio da svolgere autonomamente e finalizzato a familiarizzare e a comprendere il significato delle proprie emozioni.
Se si vogliono ottenere dei risultati positivi, occorre svolgere quotidianamente l’esercizio per almeno un mese.
L’esercizio consiste nel prendersi quotidianamente cinque minuti per riflettere su di un episodio della propria giornata in cui ci si è emozionati. Tale riflessione segue uno schema di domande che, per comodità, ho predisposto in un documento PDF che può essere scaricato qui e che aiuta a mantenere tale riflessione ordinata e strutturata.
Le risposte alle domande vanno riportate brevemente per iscritto sul proprio diario o sul documento scaricato e stampato (o su un quaderno acquistato allo scopo).
I quesiti a cui occorre rispondere (brevemente) sono i seguenti:
- Data e situazione: a che ora è avvenuto l’episodio? E cosa stava succedendo?
- Localizzazione corporea: in quale parte del corpo ho avvertito la reazione emotiva?
- Emozione in senso ampio: quale emozione ho provato? Specificare il proprio vissuto in termini generali. Ad esempio: felicità, affetto, interesse, eccitazione, orgoglio, timore, desiderio, amore, essere amati, gratitudine, stress, dolore, tristezza, irritazione, collera, pietà, disgusto, colpa, invidia, rimpianto, vergogna, etc.
- Emozione in senso stretto. Riportare l’emozione secondo lo schema delle emozioni fondamentali di Paul Ekman: rabbia, disgusto, tristezza, gioia, paura, sorpresa.
- Stimolo: cosa ha provocato la reazione emotiva?
- Bisogno: quale bisogno esprimeva l’emozione provata? La risposta non è sempre evidente, o banale e, per questo motivo, è molto utile prendersi del tempo per riflettervi. Se lo si farà seriamente, questa domanda potrà condurre a delle risposte interessanti e ricche di conseguenze per la propria vita quotidiana.
Questo esercizio, se svolto regolarmente, aiuterà sostanzialmente a focalizzare e a dare senso alle proprie emozioni. E dunque a far crescere il proprio Quoziente Emotivo.
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