Adriano Stefani Psicologo

La mia posizione sugli psicofarmaci [Video]

Il mio punto di vista su di un tema “caldo”: gli psicofarmaci.

I dati sono eclatanti anche se non certi e definitivi: le stime sull’utilizzo degli psicofarmaci in Italia riferiscono che dal 10% al 16% della popolazione adulta fa uso di psicofarmaci. Significa che una persona su 10 ne fa uso, come minimo.




La mia posizione sugli psicofarmaci [Video]

Innanzi tutto devo fare un “disclaimer”, in altre parole devo “mettere le mani avanti”. Le opinioni che esprimo in questo video non hanno fini medici o terapeutici perché non li potrebbero avere. In quanto psicologo, infatti, non sono formato, né abilitato alla somministrazione degli psicofarmaci. Questo è di esclusiva competenza dei medici. Noi psicologi lavoriamo con la parola, il corpo, le emozioni, ma non con gli psicofarmaci che sono gli strumenti dei medici e in particolar modo dei medici psichiatri.  E tra parentesi, nella descrizione di questo video, qui sotto, ho inserito il link ad un articolo che spiega per bene la differenza tra uno psicologo e uno psichiatra.
 
Come dicevo, questo video rappresenta una libera espressione del mio pensiero. D’altra parte, però, sono comunque un professionista della salute mentale, collaboro nella mia pratica anche con medici psichiatri e credo di avere un osservatorio privilegiato sulla situazione degli psicofarmaci.
 
Perché faccio questo video? Perché spero che le mie considerazioni possano spingere le persone ad essere più curiose e più critiche, a informarsi di più, sia mediante libri o articoli su Internet, sia ponendosi attivamente nei confronti del proprio medico psichiatra facendogli tutte le domande che si ha bisogno di porre. A questo scopo, per vagliare criticamente l’argomento, ho inserito alcuni link di approfondimento nella descrizione di questo video.
 
Ma veniamo al tema del giorno. Gli psicofarmaci non sono farmaci leggeri: hanno effetti collaterali e possono indurre dipendenza. Tra gli effetti collaterali troviamo ad esempio: ansia, confusione, nausea, agitazione, disfunzioni sessuali, disturbi del sonno e molti altri ancora, tra cui, naturalmente, il costo economico.

Inoltre gli psicofarmaci, come in genere fanno le droghe, inducono una condizione di dipendenza, con vere e proprie crisi di astinenza se vengono interrotti troppo in fretta e dopo un lungo tempo di assunzione.
 
Non voglio però dilungarmi con gli aspetti medici, non sono il mio campo. Voglio invece esprimere le mie riflessioni in quanto psicologo, ossia parlare di come e in che misura gli psicofarmaci aiutino o ostacolino le persone a effettuare un efficace lavoro psicologico su di sé.
 
Noi psicologi abbiamo infatti notato che la sofferenza non è sempre un male in sé. La sofferenza mentale, ad esempio, può divenire uno sprone al cambiamento.
 
Facciamo un esempio. Nel perdere il lavoro o una condizione di sicurezza, è normale sentirsi ansiosi e, talvolta, depressi. Tale sofferenza emotiva rappresenta però lo stimolo, la benzina per fare di meglio e di più: per riscrivere il proprio curriculum, per acquisire nuove competenze spendibili sul mondo del lavoro, per essere creativi e farsi venire idee nuove.
 
La vita ci pone di frequente davanti a situazioni nuove in cui occorre cambiare, ristrutturarsi. Sono situazioni scomode che inevitabilmente producono una certa quota di sofferenza emotiva.
 
Vi sono situazioni inaspettate che ci piombano addosso a sorpresa e ci scuotono profondamente, come ad esempio: un terremoto, un incidente d’auto, una rapina o un attacco fisico.
 
Ma anche eventi meno tumultuosi e inaspettati possono innescare dei forti stati di tensione emotiva, come ad esempio: l’avere pochi amici, litigare spesso col proprio partner, la nascita del primo figlio, il pensionamento, e così via. La sofferenza emotiva che segue questi eventi è inevitabile, ma ci spinge a uscire dalla situazione problematica. Ed è normale e giusto che sia così. La natura ha pensato a tutto!

La sofferenza emotiva ci stimola a fare dei cambiamenti positivi, mentre se invece si riduce la sofferenza emotiva mediante uno psicofarmaco, un ansiolitico, un antidepressivo, si riduce anche la motivazione a cercare di operare un cambiamento.
Ad esempio, nella mia pratica clinica ho visto una persona che alla fine della sua prima relazione d’amore importante si sentiva uno straccio e il medico di famiglia, in tutta buona fede, le aveva prescritto un antidepressivo.

Assumendo l’antidepressivo si sentiva un po’ più serena, ma sotto sotto la sofferenza continuava ad esistere: non aveva superato il problema, tant’è che continuava a fare vita piuttosto ritirata e a pensare al proprio ex.

Quando ha scalato e poi smesso di assumere lo psicofarmaco e si è occupata del proprio sconforto direttamente, piano piano ha elaborato il lutto della fine di quella storia per poi “tornare in pista”, un po’ più saggia, un po’ più cosciente di sé, dei propri errori e dei propri desideri. Probabilmente se avesse continuato ad assumere l’antidepressivo, avrebbe rallentato la trasformazione della propria sofferenza emotiva. E ne sarebbe venuta fuori più lentamente, o magari mai. Senza contare gli effetti collaterali, la dipendenza dal farmaco e le crisi di astinenza!
 
Potrei fare altri mille esempi di episodi di sofferenza psicologica in cui l’uso di uno psicofarmaco ha rallentato il naturale processo di crescita della persona. In questi casi, credo si sia capito, sono contrario all’assunzione degli psicofarmaci: la persona ce la può fare da sola e la sofferenza è uno sprone utile alla risoluzione del problema.
 
Non sono però sempre e comunque contrario all’uso degli psicofarmaci. Vi sono dei casi in cui ho verificato la necessità di utilizzarli, naturalmente in combinazione con un lavoro psicologico, perché non ci si può affidare unicamente alla chimica quando si ha a che fare con la psiche.
 
Mi riferisco alle “patologie gravi”, quali la schizofrenia in cui la persona è sganciata dalla realtà, ha allucinazioni e delira. O anche il bipolarismo, in cui la persona alterna un umore profondamente depresso ad uno estremamente maniacale. In questi casi gravi, gli psicofarmaci sembrano essere l’unica via percorribile. O, per lo meno, l’unica via in genere praticata e di cui ho notizia.
 
Per esprimere la mia posizione sugli psicofarmaci voglio ora utilizzare una metafora. Immagina una persona che percorre la strada della propria vita: lungo il percorso, incontra degli incroci ed ha bisogno di fare delle scelte. Incontra delle persone che si uniscono a lei lungo la strada, a volte per lungo tempo, a volte per un momento. Quando è stanca si ferma per riposare. Incontra degli ostacoli che, come dicevo, possono essere determinati dai fatti più diversi: un lutto, un incidente, un trasloco, una malattia, la perdita del lavoro, e così via.
 
Talvolta riesce a superare l’ostacolo agevolmente, con un bel salto, altre volte inciampa e cade. Quando è a terra la persona vive un momento di crisi e soffre psicologicamente. La condizione di essere caduti per terra è frustrante, ma è proprio tale frustrazione che spinge la persona a fare lo sforzo di rialzarsi, scrollarsi la polvere di dosso e riprendere il cammino.
 
Quando è a terra non rendiamo un buon servizio alla persona se le offriamo una droga, uno psicofarmaco che la faccia sentire bene ANCHE a terra: in questo modo non avrà la motivazione di rialzarsi. E resterà a terra, comodamente, per un tempo indefinito.
 
E questo è quello che vedo troppo spesso accadere. Troppo spesso vedo prescrivere ed assumere gli psicofarmaci con leggerezza e le persone arrendersi a situazioni difficili senza tentare di modificarle.
 
Altro discorso è quello delle patologie mentali gravi – come la schizofrenia o il bipolarismo – in cui la persona è come se procedesse per la strada della propria vita bendata, o con degli occhiali che distorcono fortemente la visione, senza essere in contatto con la realtà circostante, sbattendo di qua e di là.
 
Ecco che allora gli psicofarmaci, se utilizzati con persone schizofreniche o bipolari, possono aiutarle a “togliere la benda”, possono aiutarle a rendersi conto dell’assurdità del loro pensiero, dei deliri, delle allucinazioni, dei momenti di mania. Tolta la benda e con l’aiuto di un sostegno psicologico possono tornare a procedere lungo la strada della vita.
 
Ma c’è ancora un terzo caso diverso: talvolta una persona che cammina lungo la strada della propria vita, incontra un ostacolo, come tutti, ma inciampa e cade così violentemente che non ha le forze per rialzarsi. Mi riferisco a quei casi di ansia estrema o depressione grave in cui la persona è completamente bloccata.
 
Un esempio di questa situazione di blocco è la “depressione grave”, allorché la persona è talmente sopraffatta dai vissuti di tristezza, di perdita di senso che non ha le forze per affrontare le proprie sfide quotidiane: non studia, non lavora, non mette a posto la propria stanza, talvolta arriva a non alzarsi nemmeno dal letto.
È bene sbloccare questa situazione attraverso un uso intelligente degli psicofarmaci, ossia occorre utilizzarli transitoriamente e solo per il tempo necessario a intraprendere e portare a buon punto un percorso di lavoro psicologico su di sé.

Un’altra situazione di blocco totale è quella in cui la persona è bloccata da forti stati ansiosi, attacchi di panico, fobie al punto di non riuscire più a funzionare socialmente: non riesce a lavorare, non esce di casa, non riesce ad andare a fare la spesa, e così via.

Anche in questo caso è secondo me utile utilizzare transitoriamente gli psicofarmaci per sbloccare la situazione ed effettuare un lavoro psicologico che affronti i conflitti sottostanti agli stati ansiosi.
 
In altre parole, in questi casi si utilizzano gli psicofarmaci solo il tempo necessario a rimettersi in piedi.
 
Ma non vorrei farla troppo facile e semplice: a volte, quando la persona è del tutto bloccata, per rimettersi in piedi possono volerci anche molti anni. Però disperare non serve a nulla. Piuttosto è bene ricordarsi di essere perseveranti perché i cambiamenti importanti richiedono tempo o, come si dice: “Goccia dopo goccia nasce un fiume”.

Per concludere e sintetizzare: credo che  a questo punto sia evidente che sono contrario all’uso indiscriminato degli psicofarmaci a cui si sta assistendo negli ultimi anni. Il 10-15% della popolazione adulta che utilizza gli psicofarmaci è per me una percentuale davvero eccessiva. Uso indiscriminato, significa: senza discriminare, senza valutare e distinguere le situazioni, senza scegliere la soluzione specifica per la specifica persona.
 
Al di là degli effetti collaterali fisici gli psicofarmaci possono avere effetti deleteri sul proprio sviluppo psicologico.
 
Occorre quindi discriminare tra le situazioni in cui gli psicofarmaci rappresentano uno strumento necessario da quelli in cui rappresentano una stampella inutile che rallenta lo sviluppo psicologico verso la maturità e la guarigione.

 
Alcuni link di approfondimento ai contenuti espressi nel video:
- Dati sul consumo degli psicofarmaci in Italia nel periodo 2015-2017. Fonte: AIFA – Agenzia Italiana del Farmaco.
- Studio del 2014 dell’Ipsad (Italian Population Survey on Alcohol and other Drugs) condotto dal CNR.
- Effetti collaterali dei comuni psicofarmaci. Fonte: CCDU – Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani.


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