Adriano Stefani Psicologo

Psicoterapia con le parole o psicoterapia con il corpo?

Gli approcci di psicoterapia “top-down” danno priorità agli aspetti mentali, gli approcci “bottom-up” si fondano sull’esperienza corporea.

Psicoterapia con le parole o psicoterapia con il corpo?
In questo articolo voglio introdurre un’altra mappa utile, spero, per la comprensione dei fatti umani e dei percorsi di lavoro psicologico su di sé.
 
Esprimo qui il mio punto di vista, frutto della mia esperienza professionale e personale che, naturalmente, potrà essere più o meno condiviso. 

Nondimeno ritengo adeguato esprimere il mio pensiero, anche solo perché in questo modo avrò modo di affrontare e di fare opera di divulgazione circa un argomento davvero sconosciuto o frainteso dai più. 

 
Psicoterapia con la parola e psicoterapia col corpo
Vi sono moltissimi tipi di psicoterapia, che mirano tutti alla salute psicofisica dell’essere umano. Salute in senso etimologico, ossia di stato di benessere ma anche di integrità, di interezza e di armonia tra le diverse dimensioni dell’esperienza umana.
 
La condizione di salute psicologica è osservabile nelle persone in base all’armonia e alla positività del loro agire. Come è stato detto: “l’albero si riconosce dai frutti”. Noi psicologi sappiamo, però, che il dare frutto può essere bloccato dai conflitti interni della persona, i complessi psichici costituiti da convinzioni mentali irrazionali, emozioni represse, blocchi psico-fisici.
 
La maggioranza degli approcci psicoterapeutici aiutano le persone a esplorare, a comprendere e a sciogliere i conflitti interni privilegiando la dimensione mentale, tant’è vero che nell’immaginario collettivo spesso si fa corrispondere la psicoterapia con la terapia della parola, ossia col colloquio verbale tra uno psicoterapeuta e un paziente. Questi approcci possono essere chiamati “top-down” (ed in seguito capiremo perché).
Terapia della parola
Allo scopo di sciogliere i conflitti interni, alcuni approcci di psicoterapia utilizzano strategie non verbali, che prediligono il lavoro con il corpo. Questi approcci possono, invece, essere chiamati “bottom-up”.
 
Ma attenzione, sia che si parta dalle parole sia che si cominci dal corpo, in ogni caso, bisogna passare per la dimensione emotiva al fine di raggiungere un cambiamento duraturo.
 
 
Un esempio: Giovanna
Facciamo un esempio concreto, in modo da non far diventare l’articolo troppo teorico e… noioso.
 
Immaginiamo che una persona di nome Giovanna si rivolga ad uno psicoterapeuta perché desidera superare le proprie difficoltà relazionali di insicurezza. Nello specifico immaginiamo che Giovanna sia capace di entrare in relazione e di farsi apprezzare dagli altri solo quando si occupa di loro, ossia quando offre loro qualcosa di positivo: attenzioni, beni materiali, cure, tempo... Però, sotto sotto, Giovanna non si sente veramente apprezzata e teme di far emergere la propria autenticità, quello che in realtà sente, pensa e desidera. Questo è ovviamente un caso di forte paura del rifiuto: Giovanna teme di essere rifiutata dagli altri, se immagina o tenta di mostrarsi nella propria genuinità e, di conseguenza, nasconde i propri sentimenti agli altri sentendosi però frustrata e profondamente sola.
 
Uno psicoterapeuta “top-down” potrebbe aiutare Giovanna a cogliere questi schemi disfunzionali: le proprie modalità automatiche, rigide e stereotipate con cui si relaziona con gli altri. La potrebbe anche aiutare a comprendere dove e come abbia sviluppato questi schemi di comportamento. In questo modo, Giovanna potrebbe scoprire di aver imparato a “compiacere” gli altri copiando questo modo di fare dalla propria madre che, guarda caso, era usa compiacere il mondo intero, marito in primis.
 
Durante la psicoterapia “top-down”, la Giovanna del nostro esempio esplora anche i ricordi infantili in cui il padre incuteva paura a tutta la famiglia con i suoi modi bruschi e violenti. Gradualmente Giovanna “scende” da un livello verbale, mentale e ragionativo ad un livello emotivo. Prova rabbia nel ricordare quanto sua madre fosse spaventata di fronte ai modi violenti del padre e quanto, per cercare di rabbonirlo, lo compiacesse. Questa rabbia diviene un elemento fondamentale nella psicoterapia di Giovanna, perché le fornisce la motivazione a fare qualcosa di diverso e di più funzionale: “Basta! Non voglio più fare la pecora, come ha fatto mia madre per cinquant’anni!”.
 
Proseguendo nel percorso “top-down”, Giovanna prova anche altre emozioni: si addolora e piange per sé e per sua madre. Quando questo dolore si attenua e si trasforma in tristezza, riflette su quali siano i suoi veri bisogni, le sue priorità e prende decisioni importanti per la sua vita. Però Giovanna prova paura nel pensare di cambiare i propri schemi abituali. E prova ansia quando cerca di cambiare modo di fare e di essere più autentica nella vita di tutti i giorni. Ma questa paura e questa ansia diventano l’occasione per imparare, grazie all’aiuto del terapeuta, a rassicurarsi da sola e a mantenersi motivata nel perseguire i propri desideri.
 
Ovviamente, va ricordato, questo è un esempio: un percorso di psicoterapia reale è solitamente meno lineare, ma ciò che mi preme qui sottolineare è il passaggio dagli aspetti mentali a quelli emotivi e di come questi ultimi rappresentino il livello fondamentale ove si compie il cambiamento reale e duraturo della persona. Infine, anche in una terapia “top-down” viene interessato il livello corporeo, perché Giovanna, al termine del processo, sarà sicuramente più rilassata dal punto di vista fisico, con vantaggi per tutto il suo sistema psico-fisico.
 
Ora, mettiamo il caso che Giovanna si rivolga, invece, ad un terapeuta “bottom-up”. Questi potrebbe proporre a Giovanna di partire dall’utilizzo di tecniche corporee, ad esempio una tecnica di respirazione, o di movimento o di contatto fisico.
 
Senza troppo parlare col terapeuta, Giovanna potrebbe accedere al livello emotivo e cominciare a sperimentare le stesse emozioni di cui sopra: potrebbe provare la rabbia verso il padre, il dolore per sé e sua madre, la paura di fare qualcosa di diverso.
 
In una terapia “bottom-up” Giovanna potrebbe essere stimolata dal terapeuta a esprimere esteriormente le proprie emozioni, ad esempio: sfogando la propria rabbia percuotendo un cuscino, gemendo e piangendo a calde lacrime il proprio dolore, lasciando vibrare e tremare il proprio corpo scosso dalla paura.
 
In ogni caso, in modo simile all’approccio “top-down”, anche incontrando un terapeuta “bottom-up”, Giovanna viene aiutata a elaborare e a dare senso alle proprie emozioni per giungere alle stesse conclusioni pratiche: “Sono stufa di compiacere gli altri, come ho fatto fino a questo momento, copiando quello che ha fatto mia madre con mio padre”.
 
Anche il percorso “bottom-up” potrà dirsi fruttuoso solo se Giovanna riuscirà – gradualmente, si intende – a trasformare in positivo il proprio comportamento nella vita quotidiana, liberandosi dagli schemi automatici e rigidi imparati nell’infanzia.
 
È da notare che in questo secondo esempio – nella psicoterapia “bottom-up” – Giovanna parte dal livello corporeo, per accedere poi al livello emotivo che, opportunamente elaborato, la conduce a modificare le proprie convinzioni cognitive su di sé e il mondo.
 
 
Gli approcci top-down
Gli approcci “top-down”, dunque, si focalizzano inizialmente sugli aspetti cognitivi ossia sui pensieri, le parole, le immagini, i ragionamenti logici.
 
Per questo motivo si chiamano approcci “top-down”: perché hanno inizio al livello “top” (cognitivo), passano poi per il livello emotivo, per giungere infine al livello “down” (corporeo).
 
E qui potrei fare un parallelismo con la Teoria dei Tre Cervelli, ma non voglio complicare eccessivamente le cose…

Psicoterapia Top-down e Bottom-up

Sono, ad esempio, approcci di psicoterapia “top-down”: la Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale, l’Analisi Transazionale,  la Psicoanalisi di Sigmund Freud, la Psicologia Analitica di Carl Gustav Jung.

Una nota importante: non esistono approcci unicamente “top-down” o unicamente “bottom-up”. Perfino la Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale, che è considerata una delle terapie “top-down” per eccellenza, prevede degli esercizi “bottom-up” di rilassamento corporeo. Gli approcci possono essere “principalmente top-down” o “principalmente bottom-up” a seconda di quale punto di partenza prediligono: dall’alto o dal basso.
 
 
Gli approcci bottom-up
Nella psicoterapia “bottom-up”, la persona è stimolata ad accedere direttamente alle esperienze corporee per poi, da queste, avere accesso al livello emotivo ed infine a quello cognitivo e verbale.
 
Le tecniche corporee sono svariate: dal rilassamento fisico, al movimento, alla danza, alla respirazione controllata, al contatto fisico. Tutto questo lavoro fisico, accompagnato da un atteggiamento di attenzione consapevole verso la propria interiorità, produce l’emergere di vissuti emotivi più o meno intensi.
 
Nell’esplorare ed elaborare il livello emotivo, alcuni approcci “bottom-up” possono utilizzare una strategia di espressione attiva delle emozioni. Come abbiamo visto nell’esempio di Giovanna, questa può essere aiutata a vivere le proprie emozioni in modo manifesto utilizzando il proprio corpo e la propria voce. Grida, lacrime, posture corporali specifiche, smorfie, sguardi, gesti vengono usati per amplificare ed esplorare il proprio vissuto emotivo.
 
L’espressione emotiva attiva è sempre compiuta privatamente, in una situazione di terapia e mai contro altre persone e può essere assolutamente necessaria quando le emozioni emerse sono troppo intense per essere osservate e comprese silenziosamente o verbalmente.
 
C’è poi da notare che sfogare la propria rabbia su di un cuscino non è un atto terapeutico risolutivo in sé, ma un momento di amplificazione e di esplorazione del livello emotivo.
 

Catarsi emotiva


Un problema con gli approcci “bottom-up” può derivare dal fatto che le esperienze emotive che emergono non sono controllabili a priori, in altre parole la persona può entrare in contatto con emozioni non preventivate e non controllabili.
 
Possono emergere episodi traumatici e vissuti emotivi passati più o meno recenti, più o meno inconsci, più o meno intensi e sostenibili dalla persona. Per questo motivo tale “emersione dell’inconscio” deve avvenire in un clima di assoluta sicurezza e solo quando la persona è sufficientemente stabile dal punto di vista psicologico. E, naturalmente, è responsabilità dello psicoterapeuta realizzare una situazione di sicurezza e valutare se la persona sia pronta.
 
Nella seduta di psicoterapia “bottom-up”, la persona deve poter avere un piede nell’esperienza emotiva e un piede nella sicurezza del presente, pena la possibile “ri-traumatizzazione”, ossia una esperienza anti-terapeutica in cui nella psiche della persona riemerge un vissuto emotivo eccessivamente intenso che finisce per ri-spaventare la persona come ai tempi in cui il trauma ha avuto luogo.
 
Ciò detto, si comprende che negli approcci “bottom-up” è somma cura del terapeuta valutare la solidità e la forza del paziente prima di stimolarlo a rivivere esperienze emotive più o meno faticose.
 
In ogni caso, al di là di queste avvertenze, gli approcci “bottom-up” possono essere molto potenti e risolutivi perché permetto alle persone di accedere rapidamente ai propri vissuti traumatici e, in tal modo, elaborarli e superarli.
 
 
Quali sono gli approcci bottom-up
La psicoterapia è nata come “terapia della parola” e solo in un secondo momento gli psicoterapeuti hanno sviluppato un interesse per il corpo e per il lavoro psicologico a partire dal corpo.
 
Col tempo alcuni approcci di “psicoterapia corporea” sono divenuti ufficiali e riconosciuti anche dalla comunità scientifica più estesa, nonché dal ministero italiano preposto, ossia il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, l’ente italiano che riconosce e autorizza le scuole di specializzazione italiane di psicoterapia.
 
In quest’ottica possono essere considerati approcci “ortodossi” di psicoterapia (principalmente) “bottom-up”: l’Analisi Bioenergetica, il  Biofeedback , la Psicoterapia Sensomotoria. Poi vi sono degli approcci “misti” che prediligono sia strumenti verbali sia strumenti corporei, come ad esempio: la EMDR, la Terapia della Gestalt.
 
Questi approcci possono essere definiti “ortodossi” perché hanno alle spalle pubblicazioni scientifiche che ne comprovano la validità e, soprattutto, il consenso della comunità scientifica.
 
Al di fuori dalla cerchia degli approcci “ortodossi”, vi sono poi numerosi approcci “eterodossi” che sono utilizzati in modo sperimentale “in scienza e coscienza” dai singoli professionisti in base alle proprie personali esperienze e credenze.
 
Sono, ad esempio, approcci “bottom-up” non riconosciuti dalla maggioranza della comunità scientifica: la Danzaterapia, la Psicoterapia Corporea, la Terapia del Respiro.
 
 
La mia esperienza
“Nasco” come psicoterapeuta Analitico-Transazionale (un approccio “top-down”) ma, nel corso del tempo, la mia pratica di psicoterapeuta si è integrata con altri approcci “top-down” (Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale, Terapia Ricostruttiva Interpersonale, Terapia di coppia EFT) e “misti” (EMDR, Terapia della Gestalt). Ho quindi un ampio ventaglio di strumenti di intervento differenti a mia disposizione.
 
Nella mia esperienza, ho notato che molto spesso le persone che si rivolgono a me, hanno inizialmente bisogno di “capire”, di dare senso a ciò che vivono, di comprendere e dare un nome agli automatismi alla base delle proprie sofferenze psicologiche.
 
Naturalmente, quando una persona ha questa esigenza, è per me bene dare inizio ad un percorso di psicoterapia partendo dagli aspetti cognitivi e ragionativi. In questi casi, dunque, utilizzo un approccio di psicoterapia “top-down” fin dalle prime sedute.
 
Come abbiamo visto, gradualmente il percorso di psicoterapia “top-down” conduce ad attraversare anche la dimensione emotiva. Anche se questo non è sempre vero… in realtà alcuni pazienti “partono in quarta”, emotivamente parlando, specie se sono reduci di un lungo periodo di sofferenza, e piangono dalla prima seduta… Ma va benissimo anche così.
 
Col proseguire del percorso di psicoterapia “top-down”, accompagno la persona nell’alternare momenti di emotività e momenti di riflessione cognitiva.
 
Ma nel mio studio si presentano anche persone diverse che, invece, non amano ragionare troppo e riescono meglio ad affrontare la propria sofferenza psichica “partendo dal basso”, con un approccio “bottom-up”. In questi casi, nel mio studio utilizzo la EMDR, la metodologia di elaborazione delle esperienze traumatiche. Oppure posso utilizzare tecniche più espressive, come quelle della Terapia della Gestalt. Partendo dal corpo ed accedendo conseguentemente al piano emotivo, queste persone passano infine ad elaborare i propri vissuti ad un livello cognitivo, allo scopo di dare ordine e parole alle proprie intuizioni.
 
Come dire, esistono persone più “mentali” e persone più “fisiche” e, secondo me, è bene poter assecondare le inclinazioni individuali.
 
Poi, ci sono pazienti che giungono da me dopo aver fatto dei precedenti lavori psicologici in cui hanno “capito tutto”, in altre parole hanno già organizzato mentalmente le proprie problematiche, hanno già identificato i propri schemi ricorrenti, ma non riescono a bloccare tali schemi perché i vissuti emotivi sono troppo forti. In questi casi spesso le persone hanno subito dei traumi intensi e antichi che impediscono loro di “andare oltre”, ossia di trasformare le comprensioni in comportamenti più funzionali. Come si dice, “le resistenze emotive sono troppo forti”.
 
In questi casi, ritengo utile utilizzare fin dall’inizio un approccio “bottom-up” per elaborare e trasformare i vissuti emotivi traumatici alla base dei blocchi psicologici.
 
Da qualche anno offro dei seminari residenziali della durata di qualche giorno. Questa è un’attività molto diversa dal lavoro che svolgo presso i miei studi professionali, all’interno dei quali utilizzo unicamente approcci “ortodossi” e consolidati. Ai seminari, infatti, partecipano persone selezionate e “avanzate”, che hanno già svolto dei lavori psicologici su di sé. Con queste persone, mi permetto di utilizzare anche tecniche “bottom-up” meno “ortodosse”, quali ad esempio la Psicoterapia Corporea e la Terapia del Respiro perché, a mio avviso, permettono di raggiungere delle comprensioni e dei cambiamenti sia interiori che esteriori in un modo molto veloce.
 
Tuttavia, data l’intensità delle esperienze che questi approcci non “ortodossi” evocano, mi limito ad usarli solo con delle persone preventivamente selezionate ed in un contesto residenziale.
 
In ogni caso, al di là della mia esperienza personale, tra i colleghi il dibattito sulla necessità di utilizzare le diverse strategie – “bottom-up” o “top-down” – è ancora aperto. Ma niente paura, questo è semplicemente il segno che stiamo vivendo in un’epoca storica di forte creatività nel campo della psicoterapia e delle scienze umane!
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