Adriano Stefani Psicologo

Le fasi del cambiamento in psicoterapia

Una mappa del cambiamento psicologico.

Le fasi del cambiamento in psicoterapia

Faccio lo psicologo, nel mio lavoro esploro quotidianamente i conflitti, il senso della vita, le emozioni profonde dei miei pazienti.
 
Ma accanto all’arte e alle emozioni della psicoterapia, amo coniugare la “razionalità” della psicoterapia, di conseguenza mi diletto ad approfondire le ricerche, le teorie, le speculazioni analitiche. E lo ammetto, adoro le sintesi, gli schemi, i processi divisi in fasi, sotto-fasi e sotto-sotto-fasi.
 
Per questo motivo ho amato scrivere articoli “schematici”, quali: gli ingredienti di una buona psicoterapia, i tipi di psicoterapia, le fasi della vita della coppia o il ciclo di vita della famiglia.
 
Con questo spirito, con l’ambizione di conciliare l’insondabile, ossia l’evoluzione e i cambiamenti della vita interiore delle persone, con il sondabile, ciò che è osservabile e descrivibile, voglio qui tentare di descrivere una mappa ed una sequenza di ciò che cambia interiormente nelle persone che affrontano una psicoterapia con successo.
 
Ovviamente questa mia è una delle tante mappe possibili. Voglio infatti sottolineare che, similmente a ciò che avviene nella geografia dove per lo stesso luogo può essere realizzata una pluralità di mappe di tipo diverso, allo stesso modo nella psicologia, per descrive lo stesso fenomeno, è possibile usare una pluralità di modelli che possono comunque essere tutti validi e utili ai differenti scopi.


Le posizioni di Vita
Secondo l’orientamento psicologico dell’Analisi Transazionale, le persone sviluppano nella prima infanzia delle convinzioni di base su di sé e sugli altri molto radicali e definitive, come ad esempio: “Mamma è infinitamente potente e buona”, “Io sono debole e in pericolo”, “Io sono perfetto”, “Mio padre è cattivo”, e così via.
 
Tali convinzioni non sono ovviamente espresse nel linguaggio razionale che utilizzerebbe un adulto, ma rispecchiano i vissuti intensissimi ed estremi dei bambini e sono essenzialmente di due tipi: le convinzioni positive e quelle negative.
 
Per questo motivo gli autori dell’Anali Transazionale, in una modalità tipicamente “americana”, hanno preferito sintetizzare queste convinzioni infantili in quattro convinzioni di base: “Io sono OK”, “Io non sono OK”, “Tu sei OK”, “Tu non sei OK”.
 
Mettendo insieme le quattro convinzioni di base, si ottengono quattro affermazioni, che sintetizzano quattro possibili modi di vivere il rapporto con noi stessi e con il mondo:

  • “Io sono OK, Tu sei OK”.
  • “Io non sono OK, Tu sei OK”.
  • “Io sono OK, Tu non sei OK”.
  • “Io non sono OK, Tu non sei OK”.


Queste quattro affermazioni, chiamate “posizioni di vita”, rappresentano gli atteggiamenti fondamentali su cui costruiamo la nostra vita, le scelte relazionali e di lavoro. Non sono delle semplici opinioni, sono le spinte fondanti del nostro sentire, pensare ed agire.
 
Tutti noi oscilliamo tra le diverse posizioni di vita. In alcuni momenti, magari quando le cose vanno male, tendiamo ad assumere posizioni di vita più faticose, come ad esempio: “Io non sono OK, Tu non sei OK”, oppure “Io non sono OK, Tu sei OK”. Quando invece le cose vanno bene tendiamo ad assumere posizioni di vita più soddisfacenti, come ad esempio: “Io sono OK, Tu sei OK”, o anche “Io sono OK, Tu non sei OK”, anche se quest’ultima, come vedremo, è una posizione di soddisfazione solo apparente.
 
Al di là di queste oscillazioni, le persone adottano delle posizioni di vita “preferite”, che sottendono alla maggior parte delle situazioni di vita, influenzandone il modo di pensare, le emozioni e le scelte.
 
 
Papà qual è il tuo lavoro?
Ho sempre pensato che se si è davvero capita una cosa, si è in grado di spiegarla ad un bambino di 10 anni, ossia ad un essere umano che pur ignorando tante informazioni di base, abbia però la naturale intelligenza e curiosità che ogni mente ha (se non eccessivamente condizionata), unita alla capacità di pensare in modo astratto che verso i 10 anni comincia a manifestarsi.
 
In altre parole, secondo me, se non si è in grado di ridurre una conoscenza in parti davvero semplici, significa che non si è padroni dell’argomento. Così, quando qualche tempo fa, mia figlia Violetta di 10 anni ha mostrato, anche solo lontanamente, curiosità circa il mio lavoro di psicologo, ho voluto descriverle, in un modo semplice ma non semplicistico, le “posizioni di vita” dell’Analisi Transazionale e spiegarle come questa conoscenza orienti il mio lavoro.
 
Arricchisco e abbellisco il dialogo che ne è scaturito per motivi divulgativi (e di stile) ma, grosso modo, è andata così.
 
Papà (ossia io): “Vedi Violetta, ci sono quattro tipi di persone”.
 
Violetta: “Cioè?”
 
Papà: dopo aver scritto con un pennarello su di una banana, dico: “Il primo tipo è come questa banana che dice: Io sono una mela. Ovviamente è una banana che si sbaglia di grosso”.




Io non sono OK, Tu non sei OK

 

FIGURA 1. Io sono una mela: Io non sono OK, Tu non sei OK.




Violetta, ridendo: “È una banana tutta matta!”
 
Papà: “Beh, in effetti le persone che fanno così, che sono convinte di essere qualcuno che non sono, spesso vengono chiamate proprio così: matte. Ma in realtà sono persone molto molto sofferenti. Pensa che una volta ho conosciuto una persona che diceva di essere la Madonna, Maria la mamma di Gesù, persino incinta… Ma in realtà era perché soffriva tanto che si era inventata una storia fino al punto di crederci!”.
 
Violetta: “Vabbè, ma poi lo sapeva che non era la Madonna, che non era vero, no?”.
 
Papà: “No, invece era proprio convinta. Poi però ha preso delle medine speciali ed ha cominciato a ragionare meglio”.
 
Violetta: “Cioè, ha capito che non era la Madonna”.
 
Papà: “Sì. Ma io non ci lavoro praticamente più con questo tipo di persone, se non molto raramente. Ci ho lavorato per un paio d’anni tanto tempo fa, prima che nascessi”.
 
Violetta: “E che gli facevi?”.
 
Papà: “Aiutavo queste persone a non inventarsi storie troppo assurde e a fare le cose normali che fanno tutti: alzarsi la mattina, lavarsi, mangiare in modo sano, imparare un lavoro, parlare con gli altri… Ma poi ho cambiato, ed ora lavoro con altri due tipi di persone”.
 
Violetta: “E perché?”.
 
Papà: “Perché mi sento più utile a lavorare con queste”.
 
Violetta, con un sorriso furbo: “E queste che banane sono?”.
 
Papà, prendendo un’altra banana: “Alcune persone fanno come questa banana. Riesci a leggere?”.




Io sono OK, Tu non sei OK

 

FIGURA 2. Io sono la banana più bella del mondo:: Io sono OK, Tu non sei OK.




Violetta, un po’ risentita: “Ovvio, c’è scritto: io sono la banana più bella del mondo! Ma non è vero, è uguale all’altra!”.
 
Papà: “Ed è proprio questo il punto! Ci sono delle persone che pensano di essere migliori delle altre, in ogni cosa, sempre, anche se non è vero e questo le rende antipatiche a tutti”.
 
Violetta: “Proprio come X”, e qui fa il nome di una bambina, “che pensa di essere la più brava di tutti in ogni cosa e invece non è vero per niente! Ma se glielo dici, ti spinge e si arrabbia!”.
 
Papà: “Deve essere faticoso starle vicino”.
 
Violetta: “Infatti io non ci gioco mai”.
 
Papà: “Quando una banana così, ops… una persona così va da uno psicologo è perché le è successo qualcosa di davvero brutto: un incidente, una malattia, altrimenti non ci pensa per niente a venire da me”.
 
Violetta, con fare furbo: “E tu come le aiuti queste banane?”.
 
Papà: “Quando arrivano da me sono in crisi perché non riescono più a credere di essere le migliori, anzi pensano di essere le peggiori banane mai esistite. Si disperano per questo. Io le aiuto a capire che non è la fine del mondo non essere le migliori banane, però non è facile convincerle perché se non si sentono più le migliori, subito cominciano a credere di essere le peggiori”.
 
Violetta: “Pensano di non valere niente?”.
 
Papà: “Già, quando si accorgono di non essere le migliori diventano come l’altro tipo di banane con cui lavoro”. Su questa banana scrivo:




Io non sono OK, Tu sei OK

 

FIGURA 3. Io sono la peggior banana: Io non sono OK, Tu sei OK.




Violetta, leggendo: “Io sono la peggior banana”.
 
Papà: “Come si sente secondo te questa banana?”
 
Violetta: “Beh, deve essere triste, una banana che piange!”.
 
Papà: “Già, moltissime persone si sentono come questa banana, che sotto sotto è convinta di essere sbagliata”.
 
Violetta: “E con queste persone che fai?”
 
Papà: “Varie cose. Innanzi tutto le aiuto a vedere che non fanno ciò che gli piace”.
 
Violetta: “E perché non fanno quello che gli piace?”.
 
Papà: “Perché si sentono sbagliate e hanno paura di sbagliare ancora”.
 
Violetta: “Ma perché si sentono sbagliate?”.
 
Papà: “Ottima domanda! Questa è un’altra cosa importante che faccio nel mio lavoro: aiuto la persona che viene da me a capire dove e quando ha imparato a pensare di essere sbagliata. Di solito questo succede da piccoli”.
 
Violetta: “Qualcuno quando era piccola le ha detto che era sbagliata?”.
 
Papà: “Sì, può essere stato un genitore o una maestra che le diceva in continuazione: sei stupida! Oppure papà e mamma lavoravano tutto il giorno e, da bambina, rimaneva sempre da sola e pensava di non meritarsi che i genitori fossero lì con lei. Oppure anche sua mamma o suo papà pensavano di essere sbagliati e la bambina ha imparato direttamente dai propri genitori a sentirsi inferiore agli altri. Succede in tanti modi diversi ed è importante capire come è successo”.
 
Violetta: “E quando uno l’ha capito poi fa quello che gli piace?”.
 
Papà: “Sì, ma ci vuole tempo. Piano piano. A volte c’è bisogno di molto tempo, di pratica e di coraggio. Pensa a un bambino che ha sempre voluto arrampicarsi su di un albero, ma che non l’ha mai fatto perché è sempre stato convinto di essere una schiappa. Quanto tempo ci mette per imparare a farlo?”.
 
Violetta: “Io potrei fargli vedere come si fa in un attimo!”.
 
Papà: “Sì, lo faccio anch’io, ma queste persone sono abituate da tanto tempo ad aver paura ed hanno bisogno di essere incoraggiate”.
 
Violetta: “Eh, certo, se non l’hanno mai fatto prima, le prime volte hanno paura!”.
 
Papà: “Sì, e dopo che hanno capito cosa gli piace, che cominciano a vedere e ad affrontare le proprie paure, iniziano a fare i primi passi in nuove direzioni. A questo punto però, a volte, hanno bisogno che le aiuti a fare un’altra cosa ancora”.
 
Violetta: “A spingerle su per l’albero?”.
 
Papà: “Fuochino! In realtà il mio lavoro consiste nell’aiutarle a imparare a fare da sole. Quindi a volte, più che di essere spinte, hanno bisogno di essere alleggerite. Come uno che cerchi di arrampicarsi su di un albero con le tasche piene di sassi. Come lo aiuteresti?”.
 
Violetta: “Gli direi di buttare i sassi, però non addosso a me!”.
 
Papà: “Proprio così, queste persone hanno delle ferite dentro, delle lacrime, delle arrabbiature che sono come dei sassi pesanti che impediscono l’arrampicata. Ed io le aiuto a tirare fuori queste ferite, queste lacrime, queste arrabbiature per alleggerirsene. E, come hai detto tu: alleggerirsi dei sassi, ma senza tirarli contro di me, o contro altre persone!”.
 
Violetta: “E quando sono in cima all’albero che succede?”
 
Papà: “Succede che hanno imparato che non sono sbagliate e inferiori rispetto alle altre persone, dopo tutto! Certo, devono fare un po’ di pratica, salire su diversi alberi prima di sentirsi così stabilmente”, prendo la quarta banana, ci scrivo sopra e gliela mostro:




Io sono OK, Tu sei OK

 

FIGURA 4. E' bello essere una banana: Io sono OK, Tu sei OK.




Violetta legge: “È bello essere una banana!”. Poi la sbuccia e, mentre se la mangia, dice: “In pratica diventano persone normali. Qui dove viviamo noi, tutti i bambini sanno arrampicarsi sugli alberi”.
 
Papà: “E già, le persone che fanno ciò che scelgono e che gli piace, senza stare a pensare se sono inferiori o superiori agli altri, sono persone normali. E secondo te come stanno queste persone normali?”.
 
Violetta: “Beh, sono più contente delle altre … banane!”.
 
Papà: “E quando sono più contente, il mio lavoro è finito. E ci salutiamo”.
 
Violetta avrebbe potuto a questo punto bombardarmi con altre mille domande ingenue e profonde, tipiche dei bambini, quelle domande che mettono in discussione tutto e a cui è difficile rispondere con frasi fatte, come ad esempio: “Per essere contente le persone devono andare per forza dallo psicologo?”, “Perché alcune persone credono di essere delle mele?”, “E come fanno queste persone a guarire?”, “E perché alcune persone soffrono di un senso di inferiorità e altre di un senso di superiorità?”.
 
Ma per fortuna a questo punto Violetta si è stufata ed è uscita per andare a giocare in giardino.
 
 
L’OK Corral: uno schema delle posizioni di vita “preferite”
“Quanto è arguto l’autore di questo articolo! Che esempi illuminanti che propone, quale creatività…”, può pensare il lettore, non cogliendo forse che sto facendo man bassa di consolidati concetti mutuati dall’Analisi Transazionale.
 
L’esempio delle quattro banane si basa sulle anzidette quattro posizioni di vita “preferite” dalle persone adulte:

  • La banana che dice: “È bello essere una banana”, descrive la posizione di vita “Io sono OK, Tu sei OK”, anche chiamata “posizione sana”.
  • La banana con su scritto: “Io sono la peggior banana” rappresenta la posizione: “Io non sono OK, Tu sei OK”, anche detta “posizione depressiva”.
  • La banana che recita: “Io sono la banana più bella del mondo”, illustra la posizione: “Io sono OK, Tu non sei OK”, ossia la “posizione narcisistica”.
  • La banana convinta del fatto che: “Io sono una mela”, raffigura naturalmente la posizione: “Io non sono OK, Tu non sei OK”, chiamata anche “posizione psicotica”.


L’Analisi Transazionale ha rappresentato queste quattro posizioni di vita nello schema chiamato “OK Corral”. Come si può osservare dall’immagine che segue, questo schema è realizzato incrociando le due dimensioni: Io e Tu (entrambe dall’OK al non-OK):




L'OK Corral

 

FIGURA 5. L'OK Corral: versione ufficiale.




Oppure, in un modo forse un po’ dissacrante, ma di maggiore immediatezza, è possibile utilizzare le “quattro banane”:




OK Corral non convenzionale

 

FIGURA 6. L'OK Corral: versone non convenzionale.




Le fasi del cambiamento psicologico 
Noi psicologi, a prescindere dalle diverse metodologie che utilizziamo nella pratica psicoterapeutica, miriamo tutti ad un cambiamento psicologico che vada nella direzione della “posizione sana”, ossia della posizione di vita “Io sono OK, Tu sei OK”.

Questa posizione, infatti, è caratterizzata dalla fiducia in sé stessi e nell’altro e ha come conseguenza il fatto di permettere di leggere il mondo come un luogo ricco di potenzialità, un posto dove sia possibile utilizzare al meglio le proprie capacità e le occasioni che vi si presentano. Questa modalità di funzionamento psicologico è denominata “sana” ed è l’obiettivo dichiarato – anche se talvolta distante – di ogni psicoterapia.
 
Con questo obiettivo in mente, gli psicologi aiutano (o almeno dovrebbero) le persone che hanno abitualmente una posizione di vita “depressiva”“Io sono la peggior banana” – a cogliere in sé i propri schemi emotivi e cognitivi caratterizzati da una visione di sé negativa: “Io non sono OK, Tu sei OK”.
 
Come detto in precedenza a Violetta, questi schemi “Io non sono OK, Tu sei OK” si strutturano nell’infanzia e se non colti e combattuti influenzano distruttivamente la vita e l’umore della persona, anche per tutta la vita. Allo scopo di essere affrontati e superati, talvolta questi schemi devono anche essere depotenziati mediante un lavoro più profondo sui traumi che li hanno generati. Questo secondo lavoro di psicoterapia va a lavorare sulle cariche emotive rimosse che determinano l’innesco, la forza e la resistenza degli schemi psicologici passati, ma non deve sempre necessariamente essere messo in atto.
 
Per quanto riguarda il lavoro psicoterapeutico con le persone che “preferiscono” abitualmente una posizione di vita “narcisistica” (“Io sono la banana più bella del mondo”), ossia quelle persone che di solito gli specialisti etichettano come narcisiste, paranoidi, antisociali o caratteriali  ma questo poco conta – gli psicologi clinici hanno osservato un fatto curioso: queste persone, se decidono di affrontare un percorso di lavoro e di cambiamento psicologici, non passano direttamente dalla posizione “Io sono OK, Tu non sei OK” alla posizione “Io sono OK, Tu sei OK”. Piuttosto, prima di giungere alla posizione sana hanno bisogno di attraversare la posizione depressiva “Io non sono OK, Tu sei OK”.
 
Questo perché le persone che manifestano una posizione narcisistica, in realtà nascondono nelle profondità della propria psiche una posizione depressiva. O, per meglio dire, assumono una posizione narcisistica per difendersi e tenersi lontane dai tormenti della posizione depressiva.
 
Comprensibilmente le persone che abitualmente vivono nella posizione narcisistica, di norma si tengono alla larga dallo studio di uno psicologo: troppo rischioso! E poi, cosa ci andrebbero mai a fare dal momento che già “la sanno lunga”?
 
Solo se colpiti da un terremoto esistenziale – incidenti, malattie, lutti, bancarotte, separazioni – a fronte di una profonda perdita di senso e di sicurezza, fanno i conti col fatto che da soli non riescono a farcela e conseguentemente cercano aiuto da uno specialista, pur tra mille sospetti e ritrosie.
 
Con questo tipo di pazienti non si può andare troppo veloci, perché occorre rassicurarli spesso che la loro sofferenza è normale, che non è necessario essere sempre dei super-uomini o delle super-donne, che quasi tutti hanno delle ferite tipiche della posizione depressiva “Io non sono OK, Tu sei OK” – ferite che spesso giacciono non viste nel sub-conscio della psiche – e che tali ferite sono affrontabili.
 
Infine, con i pazienti che hanno una posizione di vita preferita di tipo psicotico “Io non sono OK, Tu non sei OK”, c’è un enorme lavoro da fare. La sofferenza e i sintomi sono molto intensi.
 
Il lavoro psicoterapeutico con i pazienti psicotici è, secondo me, ancora in gran parte da esplorare e definire.
 
Per il momento i protocolli ufficiali prevedono l’uso congiunto di psicofarmaci e di psicoterapia. Accanto alla pratica convenzionale, esistono anche approcci sperimentali e alternativi all’uso degli psicofarmaci. Tra gli orientamenti alternativi cito in questa sede: l'approccio finlandese Open Dialogue, l'organizzazione psichiatrica inglese Critical Psychiatry Network, il lavoro dello psichiatra americano Peter Breggin, il movimento internazionale Hearing Voices Movement. Il dibattito all’interno della comunità scientifica è ancora aperto.
 
Al di là della difficoltà anche solo di entrare in relazione con queste persone – “Io sono una mela” – che utilizzano modalità di distacco radicale dalla realtà (allucinazioni, deliri), è stato notato che, come per le persone nella posizione narcisistica, anche questi pazienti non riescono a passare direttamente dalla posizione psicotica alla posizione sana. Anzi, per loro il viaggio sembra essere ancora più lungo. L’ipotesi è infatti che debbano prima accedere alla posizione narcisistica, poi alla posizione depressiva e solo alla fine a quella sana.
 
Sembra dunque che vi siano delle tappe fisse nel processo del cambiamento psicologico nella direzione della guarigione, sintetizzabili nella seguente figura:




Le fasi del cambiamento psicologico

 

FIGURA 7. Le fasi del cambiamento psicologico.




L’osservazione clinica ha dunque evidenziato una sequenza prevedibile di fasi di cambiamento psicologico: dalla posizione psicotica alla posizione narcisistica, dalla posizione narcisistica alla posizione depressiva, dalla posizione depressiva alla posizione sana.
 
La strada sembra essere più o meno lunga a seconda della posizione di vita preferita di partenza.
 
 
Implicazioni interessanti
Le implicazioni di questo schema sono importanti, le riassumo con degli slogan:

  • “La speranza è l’ultima a morire”.
    Molti specialisti trattano e considerano la psicopatologia psicotica come una malattia cronica da gestire costruttivamente, ma dalla quale non si esce. Il modello delle fasi del cambiamento psicologico dell’Analisi Transazionale propone, invece, un punto di vista diverso che getta luce sulla comprensione e il trattamento di questa condizione e che fornisce speranza nella possibilità di una guarigione completa. Come detto, al momento le diverse sperimentazioni sono ancora in corso d’opera e il dibattito aperto.
     
  • “Il potere logora la posizione narcisistica di chi non ce l’ha (il potere)”.
    Talvolta perdere è di aiuto. Non sto ovviamente suggerendo a nessuno di aggiungere intenzionalmente sofferenze alla propria vita. L’esistenza è già sufficientemente generosa in tal senso! Sto sottolineando che le persone che prediligono la posizione narcisistica – ma in definitiva tutti noi abbiamo almeno un pizzico di narcisismo in noi – per innescare il processo di guarigione hanno bisogno di uno shock che permetta loro di perdere le convinzioni grandiose (e illusorie) su di sé. Quindi alla lunga, un incidente, un trauma, una grave perdita possono rivelarsi benefiche poiché rappresentano l’innesco di un processo di evoluzione psicologica.
     
  • “Aiutati che Dio ti aiuta”.
    Spesso vengo contattato da persone molto preoccupate per un loro caro che soffre visibilmente di problemi psicologici, ma che non vuole prendersi cura di sé. Invariabilmente rispondo loro che purtroppo non è possibile effettuare un intervento di psicoterapia con chi non lo voglia. Probabilmente la persona cara sofferente pensa ancora di saperla più lunga di tutti gli altri, probabilmente vive in via principale o comunque cospicuamente in una posizione narcisistica, motivo per cui è ancora convinta che “Io sono OK, Tu non sei OK” e non ci pensa affatto a mettere in discussione simili convinzioni anche perché, come detto in precedenza, tali convinzioni rappresentano una difesa da una sofferenza ancora più intensa. La verità è che non è ancora arrivato il loro momento ed è inutile, se non controproducente, insistere. In questi casi è meglio lavorare per auto-sostenersi, per superare la propria frustrazione e i propri sensi di colpa.
     
  • “Gli ultimi saranno i primi”.
    Non è affatto detto che chi soffre di una bassa autostima, chi si sente frequentemente in ansia e teme di non essere all’altezza, chi si paragona spesso agli altri uscendone – tra sé e sé – perdente, soffra di una sofferenza psicologica tra le più gravi. Chi ha una posizione di vita preferita di tipo depressivo in realtà si trova nella posizione più vicina a quella sana. C’è da aggiungere, inoltre, che le persone “Io non sono OK, Tu sei OK” sono quelle più coscienti della propria sofferenza e, di conseguenza, sono anche quelle che più di frequente decidono di affrontare il problema, di mettersi in discussione e, se lo ritengono utile, di accelerare il processo di cambiamento psicologico rivolgendosi ad uno psicoterapeuta.



NOTA: i contenuti di questo articolo attingono a piene mani dal brillante approccio psicologico dell’Analisi Transazionale. Invito, chi desiderasse approfondire l’argomento, a leggere il densissimo libro: “L'analisi transazionale. Guida alla psicologia dei rapporti umani”, di Ian Stewart e Vann Joines.


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